L’indomani tutti avevano dimenticato i sogni fatti la notte prima. Valeria non doveva andare al lavoro e rimase a letto a poltrire fino a metà mattina. Carlo uscì come al solito verso le sette.  Appena se ne fu andato Fusli apparve in camera da letto. Non si riusciva mai a capire, appena svegli, se il gatto stava in casa da prima o se fosse appena rientrato dalle sue gite notturne. Come al solito si andò a rintanare vicino a Valeria in cerca di un po’ di calore che lo facesse addormentare. Prima si sdraiò semplicemente attaccato alla sagoma di Valeria, sopra le coperte. Poi salì a picchiettarle il viso con la zampetta, allora lei alzò il copriletto e lo fece scivolare sotto. Il micio nero si andò ad acciambellare sulla sua pancia tutto ronzante e lei si addormentò di nuovo. 
Carlo tornò verso l’ora di cena. Trovò la cucina fredda e spenta, il frigorifero nel solito stato di penuria. L’unica luce accesa in casa era la lampada da tavolo nella stanza da letto. In camera c’era Valeria, seduta in poltrona. Teneva una sigaretta stretta fra le dita. Gettava la cenere in un coccio già pieno di cicche appoggiato sul pavimento. Sembrava intenta a osservare qualcosa e non reagì all’entrata di Carlo. 
Carlo era incerto su come procedere. Si poteva fare tutta una serie di ipotesi su ciò che stava accadendo, suddivisibili in due grandi categorie: lo scherzo o la cosa seria. Lui avrebbe affrontato l’atteggiamento di Valeria come una cosa seria ma, siccome di solito lei riusciva sempre a fregarlo in questo tipo di giochi, come al solito assunse un atteggiamento neutro ma venato di ironia. «Valeria, che c’è? Hai visto la Madonna nell’armadio?» 
«Non sto guardando l’armadio», disse lei indicando il loro letto.  
Carlo guardò sul letto. In mezzo alle lenzuola e alle coperte scompigliate, il gatto dormiva rannicchiato. La luce grande era spenta e fuori imbruniva, quindi si vedeva solo un corpo nero tutto accoccolato al centro del letto. 
«Potresti evitare di far dormire la bestia sulle lenzuola almeno quando sei a casa?», tentò lui senza troppa convinzione. 
«Parla piano», disse Valeria lentamente. «Vieni qui a vedere.» 
Carlo le si avvicinò. Valeria prese in mano la lampada da tavolo e la tenne alta sul letto bisbigliando: «Guarda Fusli… Non ti sembra diverso?» 
«Ma… Francamente… Perché non accendiamo la luce?» 
«No, ho paura di svegliarlo.» 
«Hai paura di svegliare il gatto? Valeria mi dici cos’hai? In cosa dovrebbe essere diverso?» 
Carlo pensò che il gatto fosse uscito a far zuffa con gli altri gatti del cortile. Ogni tanto rimediava un morso o qualche graffio. Comunque, questa volta non era così. 
Valeria stava già da qualche ora seduta a osservare il corpo immobile dell’animale. Si era alzata tardi e aveva bighellonato un po’ in casa e nel giardino condominiale, il gatto invece non si era mai mosso dal letto. Dopo qualche ora, era tornata a rassettare la camera e da allora non era più riuscita a staccare gli occhi da Fusli. 
«Valeria? In che cosa è diverso il gatto?», ripeté Carlo. 
«Guarda bene… Non ti sembra più lungo?» 
«Più lungo?» 
«Guardagli le zampe, sono più lunghe. Guarda come le tiene piegate sotto la testa… Sembra umano.». sussurrò Valeria.
Tutti gli animali a volte ci sembrano un po’ umani per le posture che prendono, in quel caso però si aveva subito una sensazione diversa dal solito. C’era qualcosa di abnorme nella figura, ma ancora non si capiva bene dove fosse il difetto. Sotto la luce della lampadina nuda Valeria indicava con il dito il corpo di Fusli come se lo stesse disegnando. Percorreva il profilo delle zampe avanti e indietro. Lentamente. Dall’anca al femore, fino ai cuscinetti. Lentamente. Qualcosa sembrava non andare nelle giunture delle zampe posteriori. Forse si stavano ingrossando e anche le zampe stesse sembravano più grosse. Solo un poco, ma il pelo già sembrava meno fitto di prima. Questa, almeno, era l’impressione. La corporatura di Fusli, entrambi avrebbero giurato, era più piena. Il petto si era lievemente allargato e anche il collo. Il muso era nascosto fra le zampe anteriori. Valeria e Carlo si scambiarono sguardi interrogativi, senza più dire niente, e uscirono dalla stanza buia. 
In cucina c’era la solita crudele luce al neon e il silenzio ronzante. Si sedettero al tavolo uno di fronte all’altra. Si presero le mani. Cominciò Valeria: «Il gatto si sta trasformando.» 
«Non lo so… è un po’ strano, in effetti. C’è qualcosa che non torna ma non saprei cosa. Forse sta perdendo un po’ di pelo, che abbia preso qualche fungo?», disse Carlo cautamente, perché vedeva che Valeria era molto alterata. 
«No. Sono ore che lo guardo. Sta cambiando, sta crescendo… Non so, mi sembra una pazzia…» 
«Dai, domani lo portiamo dal veterinario, adesso stiamo calmi» e la abbracciò. 
Anche Valeria abbracciò Carlo e strofinò la punta del naso sulla sua spalla poi gli chiese: «Secondo te che cos’ha?». Aveva gli occhi lucidi, sembrava preoccupata sul serio. Il fatto era curioso, o inquietante, a seconda di come lo si voleva considerare. 
«Secondo me iniziamo ad avere le allucinazioni dalla fame… Andiamo a mangiare una pizza.» «Una pizza?», fece Valeria con tono scandalizzato, anche se in realtà le sembrava un’ottima idea. Le piaceva il modo in cui Carlo riusciva a sdrammatizzare i suoi stati d’animo.
«Si, dai, usciamo! Non vorrai stare a guardare il gatto tutta la sera? Tanto se deve crescere, crescerà e dopo ne saremo più sicuri, ora che l’abbiamo visto tutt’e due. Male che vada crescerà fino a esplodere e noi dovremo cambiare tappezzeria…» 
«Stupido… Cattivo. Non si dice così», disse Valeria. E uscirono. 
Andarono in una pizzeria vicino a casa. Parlarono a fondo dell’argomento Fusli. Presero in considerazione tutte le possibilità, anche le più fantascientifiche. I loro discorsi, respinti dalla forza centrifuga dell’immaginazione, si allontanarono dal gatto. Verso la fine della cena, alcuni amici li chiamarono e decisero di proseguire la serata. Raggiunsero gli amici in un pub. Bevvero, parlarono di tutto tranne che del gatto, anzi se ne dimenticarono.  
La notte era inoltrata quando tornarono a casa. Nel vialetto alberato che portava al portone interno avvertirono l’aria già frizzante dell’inizio della mattina. Si scambiarono alcuni baci e risero. Arrivarono insieme ad aprire la porta dell’appartamento, fecero una piccola lotta fatta di dispetti per decidere che avesse il diritto di usare la propria chiave. Alla fine, aprì Carlo e Valeria balzò dentro con passo da balletto. Risero ancora. Poi, una volta richiusa la porta, non risero più.
Si diedero la mano ed entrarono in camera da letto. Tutto era come l’avevano lasciato. La lucina accesa, il letto disfatto e naturalmente il gatto al centro del letto. Solo che, più che un gatto vero e proprio, videro un mucchietto di peli. Più che un gatto, un grosso batuffolo dentro al quale si intravedeva un corpo. Contemporaneamente le loro quattro mani si protesero verso Fusli e, appena raggiunsero il pelo, questo, a ciocche, restò loro fra le dita. Era tutto pelo di gatto. Nero scuro. Lungo, gonfio e morbido. Valeria continuò a toglierlo per un quarto d’ora. Carlo si era fermato e guardava. Si domandava se non sarebbe stato meglio portarlo da un dottore, ma Valeria continuava decisa. Valeria spazzolava regolarmente Fusli e sapeva quanto pelo può perdere un gatto sano. Se viene via, vuol dire che non gli serve. Però adesso le ciocche sembravano non finire mai. Ormai si potevano prendere a piene mani. Era tutto pelo superfluo e da sotto, sempre più visibile, affiorava la pelle di un corpicino nudo. Si intravedeva una formina più chiara dentro quella matassa nera.
Alla fine, Valeria arrivò ad accarezzare un esserino tutto coperto di peluria fine, appiccicata sulla pelle umida, che però gatto non era. Prese una sottoveste pulita dall’armadio e cominciò ad asciugare Fusli. Man mano che gli passava il panno soffice su tutto il corpo, l’ultimo strato di pelo veniva rimosso e restava una pelle glabra e rosea. Fra le mani di Valeria c’era un cosino paffuto. Asciugò da quella specie di sudore due piccoli piedi, un culetto, una schiena, un pisellino, due braccine. Anche la testa era assolutamente umana e non appena Valeria ebbe rimosso una palla di pelo dalla bocca del bambino questo cominciò a piangere forte. Erano le quattro e trenta del mattino.