Poco dopo la ragazza è nella sala con i suoi fonici, gli operatori e la sua assistente.
Ha appena imparato a conoscere alcuni di loro, non sa bene ancora come muoversi. Ma ha solo due settimane per completare le riprese, e non vuole rovinarsi il nome per colpa di un regista pazzo che ha esagerato con gli stimolanti. “Costi quel che costi, non mi ricorderanno come quella che ha guastato il più atteso documentario sul film più segreto del più famoso mercato cinematografico mondiale”, pensa.
Quando il regista entra nella sala e si accomoda sulla sedia, la ragazza gli si avvicina velocemente prendendo posto di fianco a lui.
«Non credevo che avremmo iniziato subito con le interviste, contavo di scoprire prima qualcosa di più sul film. Puoi parlarmene un po’, così butto giù almeno una scaletta preliminare delle domande da fare agli attori?»
«Ma certamente», ribatte lui scuotendo la testa in un sorriso tanto dentato da sembrare finto.
«Intanto, gli attori. Ho sentito parlare di Jude e di Scarlett, ma sinceramente qui non ho visto nessuna faccia conosciuta, e mi dicono che lui in realtà sta girando di nuovo coi pirati in Malesia. E lei, beh il mio ufficio stampa l’ha contattata e non sapeva nulla di questo film. Cosa c’è di vero, quindi? Dammi qualche info sul cast.»
«Top secret», singhiozza lui.
«Top secret? Ma scusa, come posso fare un documentario se non mi dici nulla?»
Il regista tossisce trattenendo a stento un rantolo: «Uscite, uscite tutti», dice, poi.
I membri della crew guardano sorpresi e divertiti la ragazza. «Fate come vi dice, uscite» sospira lei, già esausta.
Quando anche l’ultimo microfonista è uscito dalla saletta, lei guarda il regista affermato con occhi in fiamme.
«Quindi, mi vuoi dire che cazzo sta succedendo», dice seccata. «Ho mollato quella retrospettiva sull’horror californiano per essere qui.» Non le piace alzare la voce, e non è nella sua indole, ma inizia a perdere la pazienza.
«Bagatelle», le risponde lui, fissando nel vuoto con occhi grigi.
«Saranno anche bagatelle, ma è quello che faccio. Non tutti abbiamo avuto il tuo successo, qui c’è ancora qualcuno che sta cercando di farsi strada.» Poi rimane in attesa fissando il regista. «Non me ne vado da questa stanza finché non mi dai una risposta.»
E all’improvviso il regista scoppia a piangere.
«Non, non… noi stiamo… procedendo…» singhiozza indistintamente.
«Ho… No… ultimo… ga…», fino a che non inizia a emettere una sequela di suoni gutturali simili a conati.
La ragazza con le efelidi lo fissa, esterrefatta, senza sapere bene come comportarsi. Non è mai stata a suo agio con le effusioni, eppure gli si avvicina e, istintivamente, cerca di dargli una pacca sulla spalla. Vista la sua innaturale posizione però – rannicchiato su sé stesso e singhiozzante con la faccia nelle mani – finisce per dargli solo un paio di buffetti sulla testa, come si farebbe con un cane.
Alla fine desiste, e si risiede al suo posto, aspettando che il pianto incontrollato si sciolga in un rantolo ansimante, e che le sillabe ritornino a essere comprensibili.
Quando finalmente il regista affermato smette di piangere gli porge un fazzoletto, guardando da un’altra parte.
«Mio Dio», conclude lui soffiandosi il naso: «Mi ci voleva proprio, quanto cazzo era che me lo tenevo dentro.»
«Ma che tenevi dentro… cosa?»
Il regista la fissa dritta negli occhi.

© Emanuele Simonelli

«Non c’è nulla. Nessun cazzo di film. Non ho una vera sceneggiatura, non abbiamo scritturato nessun nome, ho pescato una decina di tizi qualunque dai casting, preso dalla disperazione, sperando di potermela cavare con la storia degli attori di strada e con un film neorealista o qualunque cazzo di stronzata si potessero bere i giornalisti. Ho iniziato con una storia su un pugile redento che trova la fede ma poi il Vaticano mi ha tagliato le gambe su alcune incoerenze di trama, e quindi la produzione mi ha dirottato su una sceneggiatura tratta da un inedito postumo di Faulkner. Poi però si è scoperto che non era un suo inedito ma che era tutta una truffa ai danni della casa di produzione, per cui abbiamo scritturato un circo intero.»
«Un circo.»
«Sì, un circo europeo. Sai quello con il tendone, che va in giro con i leoni, la donna cannone. Hai capito, no? Per fare una cosa un po’ originale, a metà tra nuovo astrattismo e surrealismo, che diventasse una sorta di avant-garde digitale… per ottenere un risultato più scenografico, abbiamo iniziato a distribuire mescalina e ketamina, ma poi uno dei trapezisti, un russo che era sotto krokodil è svenuto a metà di una figura, è cascato di sotto e si è spaccato il bacino, allora sono arrivati gli avvocati, sai come sono ’sti giostrai, opportunisti, no? Fatto sta che non si poteva più girare con loro…»
La ragazza con le efelidi non si raccapezza più.
«Ma, e quindi… perché mi hai chiamato a girare il documentario se il film è bloccato?»
Il regista mostra una luce nuova di speranza negli occhi.
«Esatto, esatto. È qui che entri in gioco tu. Vedi, io ho purtroppo usato, diciamo sperperato, diciamo pure sputtanato, se vogliamo usare un termine un pochino più forte, tutti i soldi che la produzione mi aveva assegnato.»
«Hai sputtanato centoventotto milioni di dollari.»
Lui annuisce, severo.
«Milione più, milione meno. Mi rimangono i fondi per la promozione, anche se non me ne occupo io, ma posso facilmente dirottarli, con la scusa che questa è una roba mai vista che richiede un allargamento del budget. Per cui, per cui, senti la mia idea geniale. Sono quattro anni che non faccio un film, aiutami che sennò sono finito», borbotta ammiccando.
Il regista è infervorato e sicuramente drogato fino agli alluci. Prima di lanciarle la bomba si allunga fino ad afferrarle entrambi i palmi delle mani.
«Ho deciso di girare un film su una troupe che gira un documentario.»
La ragazza con le efelidi stringe le spalle.
«Ma la mia troupe, che poi sarebbe la tua troupe, ora gira un film sul tuo film, però.»
Lui scoppia a ridere, di un riso isterico.
«Esatto, questa è la trovata geniale, vedi che hai capito. Io giro un film su di te che giri un documentario.»
«Sul tuo film.»
«Esatto.»
«Il tuo film che parla della mia troupe che gira un documentario.»
«Esatto.»
«Sul tuo film che parla…»
«Adesso abbiamo capito il concetto», taglia corto lui, spazientendosi.
«Quello che conta è che nessuno lo ha mai fatto prima.»
«Ma c’è un motivo se…»
«Cazzate. Nel nostro ambiente, più la spari grossa più ti lodano. Basta che sia così grossa da poter far sorgere il dubbio che i detrattori e i critici negativi non abbiano veramente capito cosa intendevi dire. Capisci?»
«Non proprio.»
«Perfetto. Lo vedi che sta funzionando.»
Il regista sta sorridendo beato.
«Mettiamoci al lavoro, quindi. Abbiamo un film. E un documentario, da fare.»
La ragazza con le efelidi lo segue, inebetita, fuori dalla stanza, nuovamente sul set.
Da quel momento in poi, quello che lei ricorda è avvolto nella nebbia, forse anche perché il regista ha insistito che tutti provassero le eccedenze di keta e mescal rimaste dagli shooting col circo.
«È un peccato sprecarli», ha rimarcato ammiccando più e più volte, a ogni resistenza della ragazza.
Dopo due settimane, ognuno dei due ha una cinquantina di ore di girato da montare. Non tante, ma sufficienti a qualcuno con un po’ di mestiere per montare un talentuoso – o pretenzioso – film/documentario. La ragazza e il regista sono anche finiti un paio di volte a letto insieme, ma come detto questa non è in alcun modo una storia romantica, ragion per cui la ragazza, fortunatamente, a malapena ricorda come sia andata.

Dopo due settimane, lei si trova con un buon documentario su un film.
Una serie di interviste in cui il regista spiega il concept che sta dietro all’opera, il relativismo strutturale insito nel lavoro di fare cinema oggi, la difficoltà di inventarsi qualcosa di davvero nuovo e potente, potente. Gli piace molto usare il termine potente. Qualche ripresa degli attori che recitano, alcune scene tratte dal film. Un lungo piano sequenza al rallentatore con una musica davvero potente ed evocativa, che ti fa rizzare i peli lungo il braccio, con il colpo di scena dei fondi esauriti, il regista che piange in un angolo, l’evocazione della carriera finita. Poi il colpo di genio, la resurrezione, qualche gag degli attori che scherzosamente si tirano l’acqua addosso, e ancora qualche contenuto di documentari storici, excursus su giornalismi narrativi e simili. La catarsi dell’abbraccio finale tra i due registi. Alla fine ha centoundici minuti di montato originale che parlano del film più mormorato, atteso e sussurrato degli ultimi dieci anni.
E lui ha racimolato un film che parla di un documentario. In pratica racconta la storia del documentario più atteso della storia dei documentari, e lo fa con attori esordienti presi dalla strada, per un maggior realismo narrativo, una fiction du réel che ben si confà al tema cinematografico del documentario. Una giovane regista controcorrente che si batte per ottenere l’incarico di riprendere quello che diventerà il film più assurdo della storia del cinema; anche se alla ragazza con le efelidi non piace la ragazza che impersona lei, perché purtroppo non ha le efelidi, perciò l’hanno dovuta truccare.

Cinque mesi dopo, in contemporanea assoluta, in due teatri a pochi isolati di distanza escono entrambe le opere.
The art behind the art, il film del regista affermato, ottiene un successo clamoroso. Al termine della proiezione il pubblico applaude per diciotto minuti ininterrotti, mentre il regista, chiamato a viva forza ad affacciarsi al palco centrale, si commuove e ringrazia. Anche le proiezioni successive confermano l’approvazione unanime di critica e pubblico, e come previsto le poche voci in disaccordo vengono tacciate di inesperienza, malafede o, peggio, cecità.
Inside the eye: a brief glance on ‘The art behind the art’, il documentario della regista con le efelidi è invece, purtroppo, un grande flop, in grado di troncare di netto la carriera emergente della giovane regista con le efelidi.


Federico Zagni nasce negli anni Ottanta nella provincia emiliana. Ha pubblicato racconti su antologie, alcuni sono apparsi su riviste come Verde, Pastrengo, Malgrado le mosche, Fillide, Carie e altre ancora. Ha fondato la rivista letteraria efemera e collabora con Narrandom come redattore. Il lavoro (ingegnere di software) e la manutenzione familiare (dei suoi due bambini) gli lasciano davvero poco tempo libero; e lo dedica a scrivere, povero fesso.