Questo è il settimo numero di Bomarscé – Storica rivista letteraria, dal 2020

C’è una storia, un racconto, non è importante sapere se si tratti di un libro, di un film, di una pièce teatrale o di una serie TV: basti sapere che è una narrazione. A un certo punto, abbastanza all’inizio, un personaggio dice: «in quest’epoca, qualsiasi cosa che parli della realtà viene acclamata come arte». Ma chi pronuncia davvero la frase? L’autore reale o quello specifico personaggio? Basta parlare della realtà per far sembrare un testo (nel senso di un insieme di segni, una forma assunta dal linguaggio) un’opera d’arte?
Se questo è vero, lo è anche che oggi l’oggetto del dire è sempre più spesso spogliato dal modo del dire, dal discorso, dalla struttura: è la migliore pratica per deprivare l’oggetto, cioè la realtà, da ogni suo significato simbolico. Lo vediamo quotidianamente in tantissime narrazioni, come nell’ossessione per una certa autofiction d’accatto: più l’oggetto del discorso è palese, evidente, occupa il nostro campo visivo, meno ne riconosciamo i contorni. Parlare della realtà, spesso, non ci consente di sapere di più, ma di capire di meno: partire dalla realtà per arrivare al simbolo (cioè all’arte) è come chiedere al silicio la strada da un punto A a un punto B, prima che il materiale diventi uno smartphone e che su questo smartphone io scarichi Maps. Non funziona mica così.
Questo è il settimo numero di Bomarscé, la storica rivista letteraria che, fosse per lei, avrebbe evitato tutto questo preambolo. E però capisce che alcune cose vanno messe in chiaro, soprattutto quando ospita dodici racconti che parlano d’inganno e di verità: la realtà la lasciamo a chi la confonde con l’esistenza. Su Bomarscé #7 ci sono dodici testi solidi, forti, strutturati, usciti dalle dita di autrici e autori che ci piacerebbe conoscere per dir loro: «abbiamo molta stima di voi». L’apparato iconografico ci sembra tra i migliori di sempre, con nuovi ingressi che speriamo rimangano con noi a lungo. Insomma, abbiamo come l’impressione di aver fatto un numero adulto: che paura.
Sulla copertina, c’è un’opera (Sacro/Profano) di un giovane artista italiano, Giovanni Merenda: guardando i suoi dipinti, non ne abbiamo visto nemmeno uno che non avremmo voluto pubblicare. Siamo grati a Giovanni.

Inganno, testo, trama, struttura, linguaggio: questa è la realtà.
Buona lettura.