Davanti alla macchina da cucire, Viola ha un rituale: si accerta che la luce sia quella giusta, controlla che le unghie siano ben limate e lisce, le mani morbide, intorno tutto il necessario. La luce da sinistra, la cassetta del cucito, la cesta con i lavori da fare. Lavora meglio con la luce naturale, i colori dei tessuti sono più vividi, la scelta del filo per orli e impunture più semplice. Accende la lampada solo quando è costretta a lavorare dal tardo pomeriggio in poi. Succede raramente. Da un anno, ha scelto di cucire solo al mattino.
Non era così, prima, quando abitava con Corrado. Cucire era e doveva restare un passatempo. Lui provvedeva a tutto, che bisogno c’era di andare a lavorare? Anche da bambina, quando suo padre la chiamava mammola, non aveva il permesso di andare e venire come avrebbe voluto. E da ragazza niente feste, niente fidanzati, solo la scuola e fino a un certo punto. Il mondo è un brutto posto, diceva suo padre, non è fatto per te che sei un fiore. Ci penso io a te, diceva, finché non troviamo un bravo marito.
La madre, silenziosa e condiscendente, serviva i pasti, lavava la biancheria e accudiva figlia e marito. Marito e figlia. Vestiva in modo semplice e senza grazia, la gonna grigia sotto il ginocchio, un maglioncino grigio girocollo, le calze… grigie? Sì, Viola la ricorda così, la madre; grigia, rugosa e stanca, sul comodino le scatole di pasticche per dormire.
Nella cesta di Viola c’è di tutto: l’abito firmato di un uomo in carriera, la divisa di un giovane cuoco, quella di un commesso brizzolato, il camice di un dentista palestrato, la tuta di un meccanico con i bicipiti tatuati. Da un anno, lei, sarta per uomo, se appena sveglia ha un desiderio del corpo, quasi un capriccio della pelle, pensa al cliente più adatto a soddisfarlo, ne pesca l’abito dalla cesta, fa una telefonata, si mette a cucire, lo aspetta.
Un desiderio, un abito, un uomo.
Corrado era arrivato come un commesso viaggiatore, una sera, a casa, per cena. Nel suo modo discreto di salutare e nel suo eloquio lineare e contenuto c’era un buon senso che a Viola ricordò subito quello del padre. Persino fisicamente aveva rintracciato alcune somiglianze: la leggera stempiatura, le dita magre e affusolate, il sorriso dolce e rassicurante. Lo aveva accolto in sala da pranzo, insieme al padre, e cucinato per entrambi. Erano rimasti in due qualche anno prima. La madre una notte aveva ingoiato mille pasticche e la mattina dopo non si era più svegliata. Viola era rimasta a fissarla per un po’ con il caffè caldo fra le mani. Poi aveva capito, dall’immobilità e dal colorito cereo, che la madre non era più lì. Che la parte più leggera di lei era volata via e non sarebbe mai più tornata.
Stamane Viola ha voglia di un gioco dolce e sensuale. Dopo il caffè, si avvicina scalza alla cesta e tira fuori un abito. È blu, lana e seta, altissima qualità. Il cliente in questione veste solo Valentino. Le ha affidato una piccola modifica del pantalone. Non ha approfittato della sartoria del negozio, lasciando le commesse basite. Ha saputo che lei, la sarta casalinga di una viuzza anonima di Firenze, ha qualità sopraffine. Glielo ha raccontato un collega a una cena in cui si annoiavano entrambi. Ecco il numero, gli ha sussurrato passandogli un biglietto scritto a mano. E ha aggiunto qualche particolare sull’aspetto della sarta.
Viola sceglie, telefona, cuce. Nel pomeriggio, attende.

© Linda Aquaro

Corrado era un uomo metodico. L’orario della cena improcrastinabile, la tv sul divano, la sveglia alle sette, il caffè a letto la mattina. Una volta al mese, la cena con i colleghi di lavoro e le rispettive mogli; il cinema un sabato sì a uno no, solo film leggeri, e dopo le coccole a letto, tanto domani è domenica. Sesso da routine coniugale, s’intende, rapido e senza sorprese. Lui sopra, lei sotto. In silenzio.
Viola aveva adeguato le sue giornate a quelle del marito. Dedicava la mattina alle faccende di casa e alla preparazione del pranzo, il pomeriggio al cucito fino al rientro di Corrado dal lavoro. Poi, mentre lui faceva la doccia, gli preparava la biancheria pulita sul letto, la cena calda a tavola. I colori della casa, intanto, avevano cominciato a virare verso il grigio-madre che Viola ricordava bene. Non era polvere, Viola era brava nelle faccende di casa. Era un sentimento, piuttosto, tutto quel grigio sul marmo delle scale, i mobili dello studio, il ripiano della cucina, il divano in soggiorno. Per fortuna la macchina da cucire, dall’angolo della sala, continuava a sfavillare con il suo bianco madreperla e i suoi piccoli congegni metallici, ogni volta che il sole faceva il consueto giro delle stanze.
Viola sa che l’uomo dell’abito blu arriverà puntuale all’orario stabilito, indosserà il Valentino in silenzio e si specchierà dandole occhiate furtive. Nel pomeriggio, attendendo l’ora concordata, lei farà un lungo bagno, si massaggerà le gambe e il seno con olio profumato e smalterà le unghie dei piedi. Ammirerà allo specchio il suo corpo sodo e proporzionato, il seno pieno, la pelle liscia, le cosce snelle e perfette. Poi tirerà le tende alle finestre, attenderà l’attimo opportuno per spogliarsi, dietro di lui, specchiandosi e lasciandosi intravedere.
Viola aveva provato a dire a Corrado di sé e dei suoi sogni senza pretese. Lo aveva fatto una mattina alla sette, mentre lui, a letto, sorseggiava assonnato il caffè. Gli aveva parlato di un desiderio piccolo e urgente, un corso di cucina, due sere a settimana, da una vicina di casa che già frequentava e che dal balcone le aveva dato qualche informazione. Sarebbe uscita nelle ore in cui lui se ne sta- va nello studio a guardare la tv, oppure nel pomeriggio, dopo i piccoli lavori di cucito. Ma che dici, Viola, in cucina te la cavi già benissimo, il pomeriggio hai i tuoi rammendi, la sera possiamo guardare insieme la tv. Cosa vuoi di più, Viola?
Poi Corrado si era rimpicciolito e ripiegato in posizione fetale sulla sua poltrona. Complice l’inverno che incombeva, la casa era diventata la sua tana. Aveva perso il lavoro, i capelli e le sue abitudini. E Viola aveva adeguato i suoi ritmi alla nuova situazione. Nella buona e nella cattiva sorte.
Un giorno lo aveva visto chiudere tutte le finestre e trafficare con il gas in cucina. Un altro, l’aveva presa per mano e condotta sul balcone da dove avrebbe voluto saltare con lei. Una notte Corrado si era alzato e aveva raggiunto da solo il balcone. Si era messo a sedere sulla ringhiera, piedi penzoloni nel vuoto, ed era rimasto lì delle ore, al freddo, al buio. Fino a quando Viola, svegliata dall’aria pungente cheaveva gelato la casa, lo aveva raggiunto, silenziosa, alle spalle. Finché morte non ci separi.
Era stato un volo discreto di pigiama a righe, di corpo grigio e ossuto. E lo schianto non un vero schianto, ma una specie di accartocciamento.
Il vicinato all’alba ne era rimasto sgomento. Poveretto, soffriva da tanto, che brutta fine, giù dal quinto piano, una così brava persona, una così bella coppia. Lui, Corrado, ricomposto benissimo dopo il suo volo, dentro l’abito grigio dalle impunture perfette.

L’abito blu Valentino è impeccabile. Persino l’odore del tessuto le ricorda la bellezza.
L’uomo è puntuale. Sulla quarantina, qualche anno meno di lei. È bello, silenzioso ed elegante. Arriva con un piccolo cadeau, il nastrino dell’incarto mostra due piccole C dorate che si danno la schiena, s’intersecano attorno a un’ellisse allungata come un anfratto segreto. Sorride e lo appoggia accanto alla macchina da cucire che splende alla luce gialla del tramonto. Viola sfiora le due C con un dito e gli porge l’abito. Pronto. Perfetto.
Lui si gira e guardandosi allo specchio si sfila la giacca, allenta il nodo alla cravatta, sbottona lentamente la camicia, slaccia i pantaloni. Viola resta seduta dietro di lui. Ha indossato un abito azzurro leggero, le spalline sottili spiccano sulla pelle candida delle spalle. Fra poco si alzerà in piedi, lascerà scivolare l’abito lungo le braccia e i fianchi. E attenderà. Tutto quell’azzurro ai suoi piedi.


Giusi D’Urso è biologa nutrizionista e, quando capita, scrive storie. Ha pubblicato racconti e testi liberi su Salmuria, Fernweh, Storie a catinelle, Al passo coi tempi. La rivista Crack ha scelto un suo racconto per il numero speciale di settembre 2020. Si allena e sperimenta su #secondapelle, il suo blog di scrittura.