Sarebbe stato molto meglio per Aurelio rimanere nel passato, ma la storia era andata avanti. Per sessant’anni aveva tenuto in piedi la sua trattoria, solo che sua non era.
Il vero padrone, Renato, amico da una vita, le aveva dato il nome, ma niente di più, il resto era tutta opera sua, di Aurelio. Ci aveva scommesso la vita su quelle quattro mura, e aveva rilanciato aggiungendo la vita della moglie e dei figli. Solo che quando hai le carte giuste, e Aurelio le carte giuste le aveva, dovresti arraffare il piatto e salutare gli altri giocatori, un inchino, un sorriso, borsa piena sotto il braccio e via a passo spensierato. Ma Aurelio aveva continuato a giocare, aveva continuato a scommettere e a mettere tutti sulla stessa barca… e si sa che alla fine il banco vince sempre. I bei tempi avevano lasciato il posto a tempi peggiori, poi a quelli veramente pessimi, e infine Renato si era presentato con un mese di preavviso, dicendo che aveva avuto una proposta da un all-you-can-eat: «Perché quelli l’affitto lo pagano».
Aurelio sarebbe voluto rimanere nel passato, ma la storia era andata avanti. 
La famiglia si sbrigò a saldare tutti i debiti e poi c’era stata la promessa che ognuno sarebbe andato per la sua strada. Svuotare la trattoria dopo sessant’anni di lavoro fu un duro colpo per Aurelio, anche troppo: non si può dire che ci lasciò il cuore là dentro, perché non era mai stato troppo sentimentale, ma la testa sì. Se ne accorse per prima la moglie, che la mattina lo trovava in macchina, vestito per andare alla trattoria, o quando le chiedeva se avessero preparato i tavoli per la cena. Erano piccolezze, facevano tenerezza, ma solo all’inizio, poi diventarono pesanti. 
I figli erano finiti in due comuni diversi a fare i pizzaioli, se la cavavano anche bene: lavoravano più che altro d’asporto. Quando seppero che il padre alla mattina cercava i piatti per apparecchiare, sentirono il terreno cedere sotto i piedi. La madre aveva detto che più di una volta l’avevano trovato alla vecchia trattoria, a battere alla porta perché doveva sistemare la sala: «Hanno detto che quando ha trovato la serratura diversa ha provato a forzare la maniglia, è entrato e ha fatto scattare tutti gli allarmi. Questa volta hanno lasciato correre, ma hanno detto che una cosa del genere non si deve ripetere».
Invece era risuccessa, e i nuovi proprietari alla fine avevano chiamato i Carabinieri, ma non c’era stata alcuna denuncia: tutti in paese lo conoscevano, tutti gli volevano bene, e poi fu promesso dalla famiglia che una cosa del genere non sarebbe più accaduta. 
Il dottore gli diagnosticò un principio di Alzheimer. Adesso Aurelio sapeva che sarebbe stato costretto a rimanere nel passato, mentre gli altri andavano avanti.
Nel giro di qualche mese le cose sembrarono stabilizzarsi: per la moglie non fu un macigno così grosso come tutti pensavano. Era una donna forte, capace, e ogni volta che il marito andava fuori rotta lei lo riconduceva sui binari giusti. C’erano giorni buoni e giorni cattivi. Nei giorni buoni aveva solo bisogno di qualche aiuto, nei giorni cattivi tornava a essere un bambino. Fortunatamente i giorni buoni erano più di quelli cattivi. Lui sapeva della malattia, e l’aveva accettata limitandosi a quello che sapeva fare e gli era concesso fare. Sapeva suonare la fisarmonica? Sì, allora il pomeriggio suonava la fisarmonica, finché la moglie non lo chiamava a cena. Sapeva pescare? Sì, allora passava il pomeriggio nel laghetto del comune, a pescare trote e a ributtarle dentro. Sapeva fare il cameriere? Sì. Allora prendeva la macchina e andava al suo ristorante, ma il suo ristorante era pieno di altre persone che gli dicevano di tornare a casa.
Questo i primi mesi, poi le cose peggiorarono. Sapeva suonare la fisarmonica? No. Sapeva pescare? No. Sapeva fare il cameriere? Una notte si svegliò con i pantaloni bagnati, la moglie gli chiese se stava bene, e lui aveva risposto che non si ricordava come si pisciasse, quindi era rimasto a letto. Aurelio era lentamente tornato nel passato, mentre gli altri provavano ad andare avanti. 

Gli eventi presero una piega inaspettata quando Aurelio irruppe nel ristorante per la quarta volta: trovando la porta chiusa l’aveva sfondata con un carrello della spesa, poi aveva sparecchiato tutti i tavoli per apparecchiarli a giorno di festa, e dato che non si presentava nessuno a lavoro si era messo a cucinare, rovinando centinaia di euro di cibo. Questa volta i proprietari non potevano lasciar correre, il locale necessitava un rimborso, e si andò a batter cassa dalla famiglia.
I figli iniziarono a prendersi cura di lui, trascurando sempre di più il loro lavoro e la loro famiglia. Valutarono l’inserimento in una struttura dedicata, dove ci fossero persone competenti che potessero prendersi cura del padre, ma la moglie si rifiutò, categorica. Non c’era cattiveria nelle azioni dei figli, solo tristezza e preoccupazione. A prova di questo, quando Aurelio compì settantadue anni, entrambi gli fecero un regalo: insieme avevano rilevato una pizzeria del paese a un buon prezzo, ed erano diventati soci di un fondo tutto loro. Nessun proprietario a pendere sulle loro teste, stavolta c’erano solo loro. Se Aurelio avesse voluto dar loro una mano, ci sarebbe stato proprio bisogno di qualcuno in sala. Ci fu molta gioia in casa. Aurelio era rimasto bloccato nel passato, e gli altri erano tornati indietro per aiutarlo. Solo che se perdiamo una cosa, non la si può rimpiazzare con un’altra. Aurelio aveva perso il suo ristorante, e la pizzeria non era la stessa cosa. 
Finché non fu aperta fu di grande aiuto nei lavori, nella sistemazione dei tavoli, nella pulizia… ma una volta al pubblico iniziò il dramma. Improvvisamente non sapeva più leggere le comande, improvvisamente non capiva più dove andassero i piatti, improvvisamente non capiva più in quale sala si trovasse. Più persone c’erano e peggio era. L’Alzheimer l’aveva preso nella sua massima forma, e i giorni buoni, ora, erano molti meno di quelli cattivi. Cercava le posate in una cantera che non era lì, i piatti su scaffali che non si trovavano in quelle pizzeria e le bevande in un frigorifero che non esisteva più.
Gli affari non andavano male, ma ci fu bisogno di un altro cameriere che aiutasse Aurelio, che lo indirizzasse sulla strada giusta, e così da gestore era diventato disoccupato, poi cameriere e infine aiutante. 
Quando morì la moglie, i giorni divennero sempre uguali: pensava fosse uscita a fare la spesa, e sapeva che presto sarebbe tornata. Rimaneva tutto il giorno ad aspettarla, seduto sulla sedia in sala da pranzo, a guardare la televisione. I figli passavano sempre a trovarlo, finché anche loro non divennero estranei, uomini che forse, latamente, potevano ricordare la figura dei suoi bambini nella sua mente, per sempre giovani. 
Il passato aveva finito per avvolgerlo completamente, e lui, volente o nolente, aveva dovuto accettarlo, e in quell’abbraccio caldo, fatto di ricordi, Aurelio si era spento.


Federico Bastianelli nasce a Pietrasanta nel 1991, ha cercato di costruire la sua prima macchina del tempo a sei anni ma non è andata bene. È un perito elettronico, laureato in lettere, ex arciere dei Pirati della Costa, ex postino e attualmente in cerca del suo posto nel mondo. Scrive storie perché ci sono cose che devono essere raccontate. Potete trovare altri suoi racconti su Narrandom, Malgrado le mosche e Sulla quarta corda.