Quando rientrano a casa sono le sette di sera e fuori è buio, piove e c’è vento. Dada si sfila lo zaino di scuola lasciandolo cadere sul pavimento dell’ingresso, mentre il padre litiga con l’ombrello bagnato e la tracolla della borsa che si è impigliata al colletto dell’impermeabile.
«Dada accendi la luce per piacere, ma prima togliti le scarpe. Non lasciare impronte di fango per casa.»
Dada obbedisce, tirando via gli stivaletti con le mani, oscillando sull’unico piede che la sostiene e per non cadere si aggrappa più volte al muro che ha accanto. Cerca a tentoni l’interruttore, il padre le ripete di sbrigarsi e una frenesia preoccupata s’impadronisce di lei. Sa che è nervoso, lo ha dedotto dal silenzio nel tragitto in macchina da casa dei nonni, e per questo vuole completare il compito assegnatole il prima possibile. 
Appena accende la luce si gira a guardarlo: la borsa è per terra, finalmente è riuscito a liberarsi, ma l’ombrello è ancora nella sua mano e sta creando una pozza d’acqua davanti alla porta d’ingresso. Dada indica il pavimento bagnato senza dire niente, ma a lui non interessa: «Non pensare all’ombrello, togliti la giacca». Un’ombra sul muro, però, li distrae. Spostano lo sguardo verso la parete bianca che ora ha una striscia di impronte di fango misto a pioggia: le mani veloci di Dada. 
«Dada! Santa pace! Quante volte ti ho detto di stare attenta ai muri?! Non viviamo in questa casa nemmeno da un mese…» sbuffa, «e dammi questo benedetto cappotto».
Dada se lo sfila con le mani ancora sporche, il padre lo appende con forza all’attaccapanni, sulla pila formata dal suo impermeabile e dalle altre giacche che stazionano fisse lì.
«Hai visto che segni hai lasciato?», insiste girando lo sguardo verso la parete.
Dada è dispiaciuta e incerta.
«Non l’ho fatto apposta» dice sottovoce, «davvero», ma lui non la ascolta, il cappotto di Dada è scivolato per terra. Lo raccoglie e lo appende di nuovo con più forza all’esile struttura in metallo che non regge, si inclina verso Dada e le rovina addosso col suo carico di giacche e borse. Lei si spaventa portando le mani al viso e si rannicchia per terra. 
«Questo stupido attaccapanni… maledizione!», lo solleva e lo scuote nervoso, mentre Dada rimane ferma. 
«Ti sei fatta male?» le chiede.
Lei fa cenno di no con la testa.
«Ecco, l’ho sistemato adesso» le dice con la voce più rassicurante che gli riesce. «Non è successo niente, togli le mani sporche dal viso». 
I piccoli occhi tondi spuntano insicuri.
«Dada che c’è? Non fare così, ti ho detto che non è successo niente. Lo pulisco io il muro dopo cena», le dice accovacciandosi accanto a lei. Le sposta le mani e aggiunge con tono segreto: «E stasera ti preparo pure i ravioli al pomodoro, che ne dici?»
Dada lo guarda stupita, allora lui si corregge: «Anzi, li prepariamo insieme. Adesso ci cambiamo e cuciniamo». Le parla forzando il sorriso nel tentativo di cancellare lo spavento. 
«L’ultimo che arriva ha il piatto più piccolo», dice ad alta voce e scatta con la sua corsa buffa, da cartone animato. Lei è colta alla sprovvista, ma si fa coinvolgere e lo insegue velocissima. Scivola coi calzini sul pavimento e deve aggrapparsi alla maniglia della porta del corridoio per evitare di finire stesa per terra. Si rimette in piedi con agilità, ridendo forte e riprende a correre.
«Papà vinco io…» grida, e si libera in fretta di maglione e jeans lanciandoli sul pavimento; strofina le mani sulla t-shirt, se la sfila e si tuffa sul letto per acchiappare la tuta distesa sulle coperte in disordine. Infila i pantaloni in un lampo, ma perde tempo con la maglietta pulita del pigiama e i calzettoni che deve recuperare dal cassetto. Arriva in cucina con le braccia che spuntano fuori dalla felpa rosa, la coda di cavallo sfatta e una sola ciabatta; con sua grande sorpresa il padre è già lì che scalda la padella sul fornello.
«Hai vinto tu», dice delusa.
Lui ride ed evita di farle notare che sì, indossa la felpa di casa, ma i jeans sono ancora quelli che aveva a lavoro. Per consolarla aggiunge con voce solenne: «In cambio di un lavaggio accurato delle mani ti verranno attribuiti ben cinque ravioli extra». 
Dada esulta, ma aggiunge rapida: «Non cinque, sono pochi. Io ne voglio otto.»
«E otto sia.»
«Anzi no, Venti.»
Il numero aumenta costante e il padre annuisce a ogni proposta; nel frattempo aggiunge l’olio nella padella e recupera la busta di ravioli surgelati dal freezer lanciandola sul tavolo. La brina che la ricopre si dissolve in gocce tonde e Dada si avvicina rapita per catturarle con l’indice. Prima insegue i contorni della scritta rossa al centro della busta, Ravioli di ricotta e spinaci al pomodoro, poi quelli dei due ravioli gonfi e perfetti in primo piano e, infine, tuffa l’indice nel piatto pronto che spunta nell’angolo in basso. 
«Dada non giocare con la busta per piacere. Spostati.»
«Papà la stavo pulendo.»
«Non serve, è già pulita. E ora deve andare in padella, l’olio è caldo.»
Apre la busta con le forbici e gliela porge un momento per farle spiare il contenuto: i ravioli sono gonfi e ricoperti di cristalli di ghiaccio che brillano sotto la luce; qua e là spuntano bottoni spessi di sugo di pomodoro.
«Papà posso assaggiare?»
«È freddo, non è buono così.»
«Un pezzo piccolo…»
«Va bene, ma solo se trovo una perla piccola di sugo.»
Dada ripete nella mente quello che ha sentito stiracchiando il suono divertente della rperrrla di sugo. Le sembra che il padre stia cercando un tesoro nascosto e immagina che questa perla si rivelerà solo dopo una magia potentissima. Ma lui non si impegna o forse non conosce questa magia e rinuncia subito alla caccia versando il contenuto della busta nella padella; un vapore bianco rumoreggia rabbioso e lo investe. Dada, preoccupata, si affaccia sui fornelli per indagare la distesa di pasta e bottoni, potrebbe essere lei l’unica persona al mondo capace di trovare la perla. Appena la vede, infila la mano nella padella che ancora sfrigola e grida: «Eccola papà!». Il padre la tira via da un braccio.
«Ma sei impazzita? La padella è calda, ti bruci.»
Dada non capisce e insiste: «Papà la perla si sta sciogliendo.» 
«Ma te la pesco io, benedetta figlia… Ti sei fissata. Non vedi che c’è il fuoco? È pericoloso.»
Con la punta del cucchiaio di legno sposta ignari ravioli e pesca una perla quasi disfatta in un laghetto di acqua e olio. Quando Dada l’assaggia diventa magica come aveva immaginato perché ne vede il sapore: pomodoro tondo e olio trasparente, sugo liscio e lucido, crema rosso vivo saporita e fresca.
«Papà, ma è buonissimo… Lo stai cucinando davvero bene.»
Lui le risponde in tono stanco: «Sarà più buono caldo, fidati.»
In dieci minuti la cena è pronta. Il padre solleva la padella e la scuote facendo ondeggiare la pasta a ritmo: si forma un’onda di sugo e ravioli che ora sono uniformi, rossi e soffici. Spegne il fuoco e con il cucchiaio distribuisce la cena nei piatti accanto ai fornelli, creando piccole montagne disordinate; Dada interviene con una forchetta per impilare i ravioli, ma il padre la riprende ancora: «Non devi metterli in ordine, vai a sederti composta che è pronto».
Le serve il piatto più grande e si siede accanto a lei aspettando che mangi il primo boccone. Dada affonda la forchetta nel raviolo che le sembra più pieno, soffiando aria fresca che stempera il calore e allontana il fumo. Appena si sente sicura, lo mette in bocca e mastica con convinzione e, per fortuna, il sapore che ha sentito prima è sempre lì, anzi, adesso è persino più forte. Si era sbagliata: la magia non era solo nella perla, sono i ravioli e il sugo insieme a essere magici. Questo è il piatto che preferisce tra quelli che sa preparare suo padre, perché ha il sapore dei giorni di festa con le mattine senza sveglia perché non c’è scuola; del calore del parco sotto il sole e delle passeggiate sul lungomare nell’ora dei compiti; ha il sapore dei pranzi con la Tv accesa ad alto volume e dei vassoi di dolcetti con la panna che aspettano nel frigo. Chiude gli occhi per concentrarsi ancora di più e mette in bocca altri due ravioli: adesso c’è il tocco della mano del padre sulla sua quando vanno insieme a comprare i quotidiani e l’odore della carta del fumetto che lui le fa scegliere da sola; c’è il russare leggero dopo pranzo, insieme sul divano, i giochi insieme con le carte di Uno quando lui è tranquillo e il suono delle parole ad alta voce quando le legge una storia prima di dormire.
«Dada pulisciti la bocca, altrimenti ti macchi la felpa.»
È il padre che la riporta alla realtà, non sa della magia dei ravioli col sugo. Dada prende un tovagliolo di carta con la mano libera e si strofina le labbra.
«Piano Dada, piano» e le prende il pezzo di carta macchiato accartocciandolo con la mano.
«Papà, ma oggi è domenica?» gli chiede all’improvviso.
«Che dici Dada? È giovedì. Non ti ricordi che sei andata a scuola stamattina?» risponde stupito il padre.
«E allora perché mangiamo i ravioli anche se non è domenica?»
«Per cambiare» risponde rapido, teme che lei l’abbia scoperto. Poi aggiunge: «I ravioli sono buoni, ogni tanto ci possiamo premiare con una cosa buona da mangiare. Per essere più contenti». 
«Ma io sono contenta», dice Dada guardandolo negli occhi.
Lui le accarezza con delicatezza i capelli che le sono finiti sul viso e glieli sposta dietro le orecchie. 
«Ma dimmi della scuola piuttosto. Non mi hai ancora raccontato come è andata oggi. Che avete fatto?»
Dada inspira e prende la rincorsa, mette in bocca il sesto raviolo e comincia a raccontare con la bocca piena.


Alessia Ragno vive a Bari, è una fisica ma scrive di libri su L’Indiependente. Sui social è da sempre @amaracchia.