Il primo fratello era alto e aveva occhi piuttosto piccoli e neri. Da qualche anno si era fatto crescere dei baffi sommari, forse per sembrare più adulto. Quando leggeva si arricciava i capelli sulla nuca stringendo le ciocche tra pollice e indice, e si stropicciava l’attaccatura del naso. In lui la tendenza a distrarsi era particolarmente elevata, e questo il secondo fratello lo sapeva bene. Studiavano insieme quasi ogni giorno, al liceo: si mettevano uno di fronte all’altro e assumevano un’aria impegnatissima, anche se poi, di fatto, non riuscivano mai a fare molto. 
Il primo fratello dopo un po’ si alzava e si metteva a girare per casa, oppure batteva a tempo di musica sul tavolo, con l’indice. Il secondo fratello deprecava in lui questa modalità, lo sgridava e gli diceva Smettila Pietro cerca di concentrarti, anche oggi non stai combinando niente. In realtà anche il secondo fratello aveva una grande tendenza a fare altro, iniziava a pensare e scribacchiava poesie che poi faceva leggere al primo fratello. Pietro le leggeva con impegno, pronunciando le parole a voce alta, ma Roberto si vergognava molto delle sue poesie e si arrabbiava perché per lui andavano lette in silenzio. Il primo fratello allora gli rubava i quaderni per scherzo e il secondo lo inseguiva, e finivano per farsi gli agguati dietro il tavolo della cucina. 
Il secondo fratello a volte ci restava male ma Pietro poi lo rassicurava, gli diceva che quello che scriveva era bello anche se non sapeva commentarlo, per inadeguatezza sua. Usava sempre questo aggettivo, bello, e mentre lo diceva lo guardava negli occhi con intenzione e senza sorridere sotto i baffi. Il secondo fratello controllava spesso se il primo sorrideva mentre parlava, perché aveva un modo suo particolare di farlo che dava alle parole una certa incidenza ironica.
A quell’ironia bisognava stare attenti.
I due fratelli erano molto legati ed erano nati a un anno di distanza, per cui avevano molti amici in comune. Il secondo fratello aveva una natura piuttosto solare, amava parlare con le persone e si interessava degli affari di tutti, si doleva con gli altri per problemi che non lo riguardavano, stava ad ascoltare a lungo, ed era per questo in generale ben voluto. Il primo fratello tendeva invece a scegliere persone singole e le selezionava con cura, perché detestava i discorsi vacui.  Il secondo fratello se ne stupiva, perché vedeva che il primo aveva successo, specialmente con le ragazze, ma quando glielo faceva notare Pietro si incupiva e cambiava discorso. Sorrideva sotto i baffi e gli diceva Roberto, io non riesco a innamorarmi come te della gente. 
Il primo fratello aveva avuto una lunga relazione a cavallo dei vent’anni, che si era conclusa per volere suo. Il secondo fratello sapeva che il primo ne aveva molto sofferto, e ogni tanto ne parlavano, ma con grande delicatezza. Roberto, quando lo vedeva triste, gli offriva la colazione, perché sapeva che l’altro amava le prime ore della mattina, quando la città è muta e le cose paiono sospese. Allora camminavano vicini verso il bar dell’angolo, con le mani nelle tasche, parlando di musica. Roberto vedeva che Pietro si rilassava nei discorsi astratti, lentamente tornava a sentirsi a suo agio e rideva di nuovo, con calore. Solitamente poi il primo fratello proponeva al secondo di restare ancora in giro, insomma fare una passeggiata al parco o sedersi su una panchina ad ascoltare qualche suite di Bach, ma il secondo fratello spesso declinava la proposta perché doveva studiare per qualche esame, o vedere altra gente. 
Il primo capiva e non insisteva, ma il secondo si dispiaceva sempre un po’ della delusione dell’altro.

All’università frequentavano facoltà diverse, perché anche se erano soliti amare le stesse cose, il secondo fratello temeva la competizione. Sospettava che la temesse anche il primo, ma di questo raramente parlavano. Il primo fratello elogiava spesso il secondo, gli batteva sulla spalla e gli diceva Roberto farai grandi cose, guarda che metodo e che inventiva che hai, io invece non riesco ad applicarmi. 
Il secondo fratello non credeva a queste parole, e scuoteva la testa piegando le labbra nel sorriso ironico che gli aveva insegnato da bambino il primo fratello. 
Suonavano anche strumenti diversi, forse per lo stesso motivo per cui andavano in facoltà diverse, e ogni tanto facevano dei duetti e il secondo fratello cantava. Il primo fratello spesso sostava fuori dalla camera dell’altro quando si esercitava al violoncello, prendeva il violino e gli andava dietro provando ad azzeccare la tonalità. L’orecchio del primo fratello era quasi assoluto e il secondo era molto fiero della sua abilità nell’indovinare le scale e le chiavi, e di capire sempre quando inseriva un diesis o un bemolle, e allora da dietro la porta gli urlava Bravo Pietro, continua sul fa maggiore, anche questa volta ci hai preso!
Il secondo fratello credeva molto nelle abilità del primo fratello, e continuamente lo rassicurava perché sapeva che nella vita avrebbe effettivamente combinato qualcosa. Pietro alzava le spalle e guardava per terra, grattandosi le sopracciglia, perché pensava che quelle del secondo fratello fossero solo lodi vuote, e gli diceva Roberto tu parli in modo acritico e solo perché mi vuoi bene, ma io non ho il metodo che hai tu nelle cose, io non ho costanza, e ho già perso molto tempo.
L’indolenza era il principale problema del primo fratello, così come del secondo lo era l’empatia verso gli altri. Ne parlavano spesso e diffusamente, uscendone entrambi affaticati e come appesantiti, e sempre senza reali soluzioni. Allora restavano a lungo in silenzio, seduti vicini, con le ginocchia strette tra le braccia per riscaldarsi, perché in genere questi discorsi saltavano fuori in inverno, all’aperto su qualche panchina o in qualche chiostro o parco della città. Pietro guardava le nuvole che cambiavano colore perché si avvicinava la sera e chiedeva a Roberto se avesse freddo, perché sapeva che il secondo amava l’estate e non poteva soffrire di stare così fuori senza motivo quando potevano agevolmente tornare a casa. Il secondo fratello negava sempre, anche se era vero, perché sapeva che il primo fratello dialogava meglio nei climi tersi e rarefatti, specialmente se aveva un orizzonte da guardare. 
Riconosceva subito quando Pietro credeva di star perdendo tempo perché una corrente sembrava percorrerlo tutto e diventava insofferente, si tormentava gli ultimi ricci alla base della nuca e gli diceva Roberto, Roberto, oggi ragioni male, ti contraddici, pensi a scatti. Il secondo fratello si sentiva in colpa perché sapeva di poter fare di più, di ragionare meglio: ma il suo pensiero non era limpido come quello del primo fratello, era un pensiero vischioso e letterario, trattenuto dalle pastoie degli interessi umani e del sentimentale. Il primo fratello lo trattava allora con severità e cercava di dargli una direzione, per trovare effettivamente qualcosa, la chiave di volta del discorso, la ragione finale e inoppugnabile. Usava spesso questa espressione, trovare qualcosa, e se il dialogo era stato soddisfacente alla fine restava come felicemente stupito e gli diceva, a bassa voce, Qualcosa Roberto oggi abbiamo trovato. Allora il secondo fratello annuiva e si sentiva in pace.
Il primo fratello aveva il cruccio di aver letto poco durante l’adolescenza, e chiedeva consigli al secondo fratello che invece, da che ne aveva memoria, aveva sempre visto con un libro in mano. Inizialmente gli domandava i grandi classici, gli diceva di parlargliene e Roberto passava lunghe ore a riassumergli Melville, Hawthorne, Faulkner, perché sapeva che Pietro era affascinato dalle metafore fanciullesche e cosmiche, che sono tipicamente americane. 
Il primo fratello restava a lungo ad ascoltarlo, ogni tanto sorrideva sotto i baffi e segnava i titoli in un quadernino nero che nascondeva in un cassetto del comò. Nei giorni seguenti il secondo fratello lo vedeva tornare a casa con i titoli che gli aveva suggerito e provava uno strano senso di tenerezza e orgoglio che si ripercuoteva in lui come una sensazione fisica, dandogli fastidio al petto. Pietro cercava di non cedere subito al sonno e la sera si metteva con impegno a leggere, dandosi degli orari prestabiliti e tirandosi i capelli per stare seduto diritto, perché aveva una speciale tendenza ad accasciarsi sulle sedie e sui divani. Con la matita segnava i punti rilevanti, i ragionamenti che lo interessavano e poi ci rifletteva su a lungo, con dedizione. Molto spesso però non riusciva a finire i romanzi e perdeva tempo, prendeva in mano il violino e arpeggiava sovrappensiero per ore intere. Oppure decideva di uscire, afferrava il cappotto e tornava a notte tarda. Poi se ne rattristava e ne parlava a lungo con il secondo fratello che cercava di rassicurarlo, gli diceva Pietro non preoccuparti, andrà meglio la prossima volta. 

Un giorno il primo fratello disse al secondo che desiderava partire, andare lontano dalla città in cui erano nati. Roberto capì e lo incoraggiò con grande entusiasmo, perché vedeva che Pietro aveva bisogno di cambiare ambiente, conoscere persone, sviluppare nuovi ragionamenti. Capiva bene che non poteva parlare solo con lui delle questioni più rilevanti: desiderò che si innamorasse come era avvenuto anni prima, o che trovasse un impiego che potesse entusiasmarlo. 
Il secondo fratello sapeva di avere una natura fortemente introspettiva ed era contento di restare in famiglia e di continuare a scrivere, ma quando vide il primo fratello salutarlo con la mano davanti alla stazione qualcosa cambiò in lui. Non riusciva a parlarne con il primo fratello, che spesso gli telefonava dalla città in cui si era trasferito, Heidelberg. Gli diceva Roberto ti piacerebbe molto qui, in autunno le foglie sono bellissime, ogni tanto esco e raccolgo i ricci delle castagne nella città vecchia accanto al fiume Neckar; il tedesco è una lingua schietta e pulita ed è piacevole da ascoltare, ti porterò qualcosa di Hesse. 
Ma Roberto era improvvisamente muto, non poteva più parlargli, non poteva più ragionarci insieme come avevano fatto durante gli anni della loro giovinezza perché qualcosa in lui rovinava tutto, sporcava ogni cosa. Provò a capire che tipo di qualcosa fosse, che problema esattamente avesse con il primo fratello, ma non riusciva a capirlo fino in fondo. Restava a lungo svegli, la notte, a tormentarsi. Si rese conto di non poter più rispondere a Pietro, che pareva invece contento e gli raccontava in lunghi monologhi la sua vita in Germania, per ore e ore. Il primo fratello chiamava specialmente quando era in giro in bicicletta, negli spostamenti da casa all’università, e molte delle sue parole si perdevano nel vento della corsa, soffiate via dagli sbuffi della corrente. Il secondo fratello sapeva che era felice, lo immaginava ridere nel clima terso e freddo, bere molta birra e mangiare pretzel
Eppure quel qualcosa rovinava costantemente le parole che avrebbe voluto dirgli. Allora stava zitto al telefono e lo invitava a raccontare ancora, perché lui non poteva parlare, ma il qualcosa cresceva man mano che il racconto proseguiva, cresceva lento e inesorabile e un giorno il secondo fratello disse al primo che forse non desiderava più sentirlo così spesso, che sapeva che era felice e magari andava bene così, non voleva sapere altro. Pietro rimase interdetto e se ne addolorò molto. Provò a indurre il secondo fratello in un ragionamento minuzioso e articolato, come quelli della loro giovinezza, quando erano ragazzi e si stringevano le gambe nell’ombra fredda dei chiostri. 
Roberto conosceva tutti i suoi trucchi argomentativi e provò a fare resistenza, ma Pietro comprendeva l’altro in profondità e con troppa acutezza gli poneva le domande e traeva le conclusioni: per ciascuno dei due la soluzione al problema balenò improvvisamente, talmente semplice da non essere stata in principio considerata. 
Dato che il primo fratello poneva le domande e il secondo fratello non dava riscontri, ognuno pensò di essere giunto in cuor suo alla risposta esatta. Per la prima volta però non confrontarono la soluzione, dicendosi a vicenda che era sicuramente la stessa. 
Il secondo fratello sapeva che non lo era, e sapeva che l’altro lo aveva capito. Perciò si stupì molto quando il primo fratello gli disse Fortunatamente, Roberto, anche oggi qualcosa abbiamo trovato. 
Lo sentì sorridere sotto i baffi, al telefono, e la questione si chiuse lì.


Sofia Castagna, classe 1997, è nata e vive a Milano, dove si è laureata in Lettere antiche, senza mai però abbandonare la passione per la letteratura contemporanea, cosa che le crea una mai sopita dose di confusione. Fa parte della redazione della rivista Fillide – Il sublime rovesciato, per cui ha pubblicato contributi su eros, grottesco e culinario. Ha scritto un racconto pubblicato su Rivista Blam!. Nel tempo libero ama leggere mentre passeggia sui marciapiedi in città (cosa che le ha fatto perdere numerose diottrie, oltre a suscitare le maledizioni di pedoni e ciclisti), intavolare discussioni molto astratte e coinvolgenti con chi si trova a tiro e, soprattutto, scrivere.