Vicino al mare, in una casetta di legno, viveva una donna. Faceva lunghe passeggiate col suo cane e il pomeriggio curava il giardino. I fiori gialli e rossi erano bellissimi, il cane allegro e affettuoso, però lei qualche volta si annoiava.
Un giorno bussò alla porta un uomo che vendeva vasi. La donna ne prese uno di terracotta e ringraziò. L’uomo le disse: «Hai scelto un vaso magico. Tornerò tra sette giorni con un’ampolla di rugiada, tu cercane una di miele. In questo vaso non vanno fiori, ma solo pensieri belli. Rugiada e miele li custodiscono: se sei triste portalo alle labbra e bevi un sorso.»
Nei giorni seguenti la donna passeggiò, zappettò e cercò il miele. Quando l’uomo tornò riempirono il vaso, che divenne un po’ più luminoso.
«Tornerò fra altri sette giorni – le disse – e porterò l’ingrediente che manca per completare la magia.»
Poi conversarono un poco e l’uomo andò via. Dopo qualche giorno la donna si dimenticò del vaso e continuò a occuparsi delle solite cose. Passarono sette giorni e l’uomo non si vide; ne passarono dieci, dodici, quindici, niente. La donna iniziò a guardare insistentemente il vaso, cercando di carpirne il mistero. Più passavano i giorni, più ne era attratta. Non era particolarmente grazioso, né interessante, né seducente, eppure continuava a guardarlo.
Per curiosità, avendo trovato del miele di acacia, ne versò alcune gocce nel vaso. Con sua sorpresa, il livello di liquido diminuì. Dopo venti giorni si ripresentò l’uomo.
«Ho avuto molto da fare, scusami se non sono venuto prima. Ecco l’ingrediente che mancava.»
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una fialetta con un infuso biancastro e ne versò tre gocce nel vaso. La stanza iniziò a risplendere, le pareti sembrarono più nitide, i mobili più lucidi, i quadri più intensi. L’uomo conversò un po’ e accennò ad andarsene.
«Ci rivedremo?» chiese la donna.
«Può darsi, il mese prossimo passerò da queste parti.» E si salutarono.
Passò un mese, passò il secondo mese, cominciò lo stillicidio dell’autunno e dell’uomo nessuna traccia. La luce del vaso iniziava a indebolirsi, ma la donna non aggiunse miele per paura che si svuotasse. Un giorno che, chissà perché, si sentiva un po’ triste, decise di assaggiare il liquido magico. Portò il vaso alle labbra e bevve un piccolo sorso. All’inizio non successe niente, poi si sentì come accarezzata dentro da una mano calda e si assopì. Al risveglio si accorse che il contenuto del vaso era un po’ aumentato.
Chiamò il cane e andò a passeggiare sulla spiaggia. Vide una sagoma familiare che le veniva incontro. Era l’uomo. Le disse che viveva lì vicino, ma che tutte le settimane viaggiava per vendere vasi.
Abita qui vicino e non gli è mai venuta voglia di vedermi, pensò la donna. Sarà interessato solo agli affari, io sono solo una cliente, che pretese… E perché mai dovrebbe avere voglia di vedermi, se non gli compro niente. Però aveva promesso lui di tornare, mica glielo avevo chiesto io. Invece non s’è visto e adesso sta qua come se niente fosse.
«Vieni a passeggiare spesso qui?»
«Qualche volta. Di solito preferisco il bosco.»
«E porti sempre il tuo cane?»
«Quasi sempre, perché?»
«Niente, così. Domani facciamo una passeggiata a quest’ora?»
Dal giorno dopo la donna e l’uomo iniziarono a passeggiare insieme. Le prime volte la donna portò il cane, poi lo lasciò sempre più spesso a casa, senza che lui glielo chiedesse. Il vaso non era mai stato così splendente.
«Sei felice?» chiese lui.
«Se non ci penso, sì. Ora che me lo hai chiesto, già non lo so più.»
Il giorno dopo l’uomo non si vide. A volte succedeva, lei non ci fece tanto caso. Passarono i giorni, che diventavano sempre un po’ più bui, sempre un po’ più freddi. Nulla. La donna si avventurò in passeggiate sempre un po’ più lunghe, spesso portando anche il cane, cercando la casa di quell’uomo, ma non le riuscì di trovarla.
Un giorno pioveva fortissimo e decise di non uscire. Tuttavia, venendole a mancare la speranza di incontrarlo anche solo per caso – un caso forzato, certo, ma sempre un caso – si rattristò molto. Bevve due grandi sorsi dal vaso e si sedette ad aspettare. Stavolta l’effetto fu brusco e invadente. Si sentì improvvisamente calda, come abbracciata da dieci persone, poi una scarica elettrica le partì dalla fronte e le attraversò il petto e il ventre. Per diversi giorni continuò a sentire quel caldo nella pancia, non era più tanto triste, anzi. Il vaso intanto si era riempito ancora un po’.
Giorno dopo giorno la donna si abituò a bere il liquido magico. A volte sentiva appena un po’ di tepore, anche se beveva abbastanza; altre, un paio di piccoli sorsi le procuravano scariche fortissime, che trapassavano il cervello e si irradiavano al ventre. Il vaso era quasi colmo, una mattina all’alba decise di uscire a cercare del miele. Mentre riempiva l’ampolla sentì due mani posarsi sugli occhi.
«Stavo cercando della rugiada.»
«Perché sei sparito?»
«Eh? Lo sai, ho i miei giri d’affari.»
«Ma eri qua e non hai nemmeno bussato?»
«Vuoi un vaso nuovo?»
«No…»
«Quello che hai non ti basta?»
La donna rifletté un attimo prima di parlare, poi timidamente disse: «Ho bevuto abbastanza e adesso il vaso è quasi pieno e splende più che mai.»
L’uomo la fissò a lungo, intensamente: «Sei felice?» le chiese.
«Non lo so più. Potrò più esserlo senza bere questo liquido magico?»
«Può non tornare la luna?» Si girò e sparì tra i castagni.
E no!, pensò la donna, “prima mi vende un vaso magico, quando io ne cercavo uno normale. Scopro che non posso metterci i fiori ma che custodisce i pensieri belli, e va bene. Non mi spiega come funziona – e non mi ha mai detto quale fosse l’ingrediente segreto. Mi chiede se voglio comprare un altro vaso e non mi spiega come usare questo. E io vado a chiedergli se possiamo rivederci e mi pianta come una scarpa vecchia. Cosa ho detto, cosa ho fatto?
Pensando così si accorse che un’ampolla con la rugiada era lì per terra. Dimenticanza, ammonimento, regalo? La prese, andò a casa e la versò col miele nel vaso. In un attimo questo fu quasi vuoto, restò giusto una goccia sul fondo. Accidenti, pensò, ora quando sarò giù come farò?
Non passò molto tempo che divenne triste, molto triste, arrabbiata e triste, delusa e sfiduciata, amareggiata e disillusa. E triste, triste, triste. Iniziò a inventarsi attività per scacciare la tristezza, sua nuova nemica, infida e acerba. Zappò la terra fino allo sfinimento, raccolse legna nel bosco, imbiancò le pareti, costruì un capanno per gli attrezzi. Quell’ultima goccia le dava il tormento. Dopo cosa sarebbe successo? Come avrebbe potuto più vivere senza quel calore invadente, senza il torpore molle della magia? E adesso, come faceva già a vivere, colma solo di tutta quell’assenza? Iniziò a prendersela col cane e a trattarlo male, lasciandolo senza cibo, senza carezze, senza attenzioni. Anche quando era esausta dalla fatica, tornava a casa e il vaso era lì, a ricordarle la sua inadeguatezza, l’inanità del mondo. Decise di disfarsene. Sì, ma non in un giorno di pioggia. Domani, magari. Ah, ieri me ne sono dimenticata.
Finché, in un giorno di vento e di neve, camminando tra i larici secchi, guardò verso il mare e li vide. L’uomo passeggiava e rideva con una donna, la donna aveva un cane. Iniziò a tremare violentemente, sentì dolore alle unghie e ai capelli, corse verso casa. Nel giardino i fiori erano marciti, dentro il vaso era in frantumi. Il primo giorno lo passò seduta a terra, senza accendere il camino, a fissare i cocci. Il secondo giorno provò a metterli insieme col miele e accese il fuoco, ma il fuoco sciolse il miele. Il terzo giorno usò il mastice e il vaso resistette, opaco, grottesco, pieno di cicatrici.
Cercò il miele, cercò la rugiada, riempì il vaso. Dopo pochi giorni emanava un odore dolciastro di topo morto. Fu triste, si ostinò a bere, vincendo il disgusto. Stette così male che credette di morire. Vomitò per tre giorni, poi si riscosse astiosa. Volle impellentemente l’uomo, l’ingrediente segreto, il liquido bianco, gli effetti poderosi di prima. Uscì nella neve e nel vento, andò sulla spiaggia e lo vide. Lo rincorse urlando, imprecando, lui fuggì come un istrice in fiamme. Lo perse, vagò per ore, vomitò ancora, svenne. Quanto rimase così? Il tremore diffuso la ridestò, si accorse di non riuscire a vedere più niente. Cos’era mai? Sfregò le mani intorpidite, le avvicinò agli occhi e al posto del viso trovò una maschera zigrinata. Capì. Capì che aveva pianto e che le lacrime si erano ghiacciate e che l’allontanavano dal mondo. Si abbandonò su un sasso e smise di pensare, di volere, di decidere. La riscosse un subitaneo calore uggiolante. Il cane era lì e le leccava il viso. Non decise più nulla, si fece guidare docilmente fino a casa. Lì, lentamente, le lacrime divennero liquide e le raccolse in un alambicco, poi serrò gli occhi.
Sognò. L’uomo l’abbracciava, e rideva, e giocava, e le diceva cose carine. Stava per rivelarle l’ingrediente magico, lei percepì l’arrivo di quel calore, quella scossa così nota – e si svegliò. Il vaso la stava fissando. Un attimo dopo si ritrovò a svuotare l’alambicco di lacrime lì dentro e, senza provare stupore, vide il vaso dissolversi nell’aria, evaporare.
Uscì in giardino e camminò cauta tra i solchi. Dalle corolle marce pendolavano i semi minuti, arrendevoli. Erano belli, le sembrarono coraggiosi e spavaldi. Ne raccolse dieci, cento, trecento, e li contemplò nei suoi palmi. Sentì il richiamo del mare e si incamminò verso la baia. Forse intravide due sagome in fondo, ma i suoi occhi decisero di guardare altrove. I semi le solleticavano le mani, reclamando libertà, e lei li abbandonò nel vento. Poi rise, pianse e cantò così:
Amore amore amore
tu m’hai bruciato il ventre
tutto era risplendente
tutto aumentò il languore
la luce mi ha accecato
oh tu sconsiderato
per ritrovar la vista
gli occhi tu m’hai ghiacciato
latte, rugiada e miele
da soli non fanno niente
senza la tua scintilla
son morte, caos e fiele
lasciami respirare
lasciami al mare e al vento
vattene e non tornare
son viva – e non lo sento.
Valentina Confuorto è musicista e autrice. Il suo primo romanzo, Un anno col dolcista, è stato finalista al Premio Bukowski e al Premio Lorenzo Da Ponte. Ha pubblicato poesie e racconti in antologie, riviste e blog. Da alcuni anni scrive per il teatro; le sue opere sono andate in scena al Palazzo Ducale di Venezia, al Museo del Vetro di Murano, al Chiostro Nina Vinchi del Piccolo Teatro di Milano e al Nuovo Teatro San Paolo di Roma.