– Oh, finalmente è arrivato!
– Buonasera, signora Bongiovanni.
– Mica tanto buona, ispettore. Non mi sembra proprio una grande serata. Sono ormai più di cinque ore che l’aspetto in questa stanza e nessuno che si sia degnato di dirmi qualcosa o di portarmi almeno un caffè. Senza contare il fatto che da qualche minuto si sente questa risata satanica che mette i brividi. Ma chi…
– Mi dispiace signora, ma come sa stavo interrogando altri testimoni e…
– Ancora? Ma quand’è che ci lascerete andare? Non mi fraintenda ispettore, lo so che una ragazza è morta. Dispiace anche a me, veramente. Ma che c’entriamo noi? Non ci potete mica trattenere per sempre.
– Tra poco potrà andare, glielo prometto.
– Forse voleva dire che potremo andare.
– No signora, suo figlio rimane qua. Devo ancora finire di interrogarlo.
– Ma ispettore, mio figlio è solo un povero coglione. Che cosa spera di cavarne? È capace di perdersi anche sotto casa, figuriamoci se può darle qualche informazione utile. Avete già raccolto le nostre deposizioni, che altro volete da noi?
– Vede, signora Bongiovanni, proprio come ha appena detto lei, è morta una ragazza. E questo, mi creda, purtroppo non è inusuale per chi fa il nostro mestiere. Quello che è insolito è il modo in cui è morta. Converrà con me che prendersi una stilettata nel cuore, all’ora di punta, in un autobus pieno di gente e senza un apparente motivo, sia abbastanza strano. Abbiamo dovuto interrogare tutti i passeggeri e il conducente per ridurre al minimo il numero di persone che si trovavano nel raggio di tre metri dalla ragazza, poco prima che finisse a terra. Dopodiché abbiamo investigato su eventuali collegamenti con la vittima, ma purtroppo non ne abbiamo trovati. Quindi tutto quello che sappiamo è solo che quando il conducente ha frenato di colpo, per non investire quel ciclista che si era buttato in mezzo alla strada, attorno alla vittima c’erano dieci persone, tra cui lei e suo figlio. Mi segue?
– Sì, ma non capisco dove vuole arrivare.
– Mi dia ancora qualche minuto, signora, e poi sarà libera di andare. Ovviamente abbiamo fatto analizzare lo stiletto, ma è stato inutile. Siccome siamo in pieno inverno tutti indossano i guanti e, come se non bastasse, nevica ormai da tre giorni. Le lascio immaginare le condizioni del pavimento dell’autobus. Quindi nessun movente, nessuna impronta utile sull’arma del delitto, nessun testimone, eppure…
– Eppure?
– Eppure una ragazza è morta.
– Questo lo so, ma non penserà che io me ne vada in giro a uccidere degli estranei sugli autobus. Ispettore, mi ha visto? Le sembro un’omicida? E mio figlio? Gliel’ho già detto, quello è deficiente, se non gli ricordo ogni tanto dove si trova il suo naso si dimentica pure di respirare.
– No signora, ha ragione, non penso che lei sia un’assassina. Si trova ancora qui solo perché lei e suo figlio, insieme ad altre otto persone, eravate le uniche abbastanza vicine alla vittima da poter commettere il delitto. Le stavo dicendo… ah sì, inizialmente avevo anche pensato a un serial killer, ma poi mi son detto: in pieno giorno? Su un autobus affollato? Poco verosimile.
– Ma l’ha detto anche lei che non ha trovato nessun collegamento tra la vittima e gli altri passeggeri. Se non un pazzo, chi potrebbe mai voler uccidere una ragazza senza nemmeno conoscerla?
– Esatto. Ha detto proprio bene. E sa che risposta mi sono dato? Nessuno!
– Perché lo dice sorridendo, ispettore? Io non ci sto capendo niente. Sono solo molto stanca. La prego…
– Signora Bongiovanni, ha mai sentito parlare del rasoio di Occam?
– Che cos’è, un’altra arma? Che vuole che ne sappia io di queste diavolerie moderne. Non ho nemmeno il cellulare.
– No signora, il rasoio di Occam è un principio metodologico secondo cui, dato un problema, bisogna eliminare con tagli di lama le ipotesi più complesse. Detto in altre parole, a parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire.
– Non la seguo più.
– Non bisogna complicare ciò che è semplice. Quindi: se escludiamo il serial killer e potenziali moventi strampalati, che cosa ci rimane? I fatti acclarati sono questi: uno, la premeditazione. Non si è trattato di un raptus. È difficile che uno vada in giro con uno stiletto se ha la fedina penale pulita. E tutti voi l’avete. Due, una brusca frenata ha fatto cadere a terra molte persone, tra cui la vittima che non si è più rialzata. Tre, una persona è morta ammazzata.
– E quindi?
Quindi qualcuno di incensurato è uscito di casa portandosi dietro uno stiletto con l’idea di utilizzarlo. Poi, mentre si trovava sull’autobus, c’è stata una brusca frenata e qualcun altro è morto. Allora mi sono chiesto, perché proprio durante la frenata? L’assassino non poteva prevederla. Mi segue, signora?
– No ispettore, non la seguo per niente.
– Signora, mi dispiace doverglielo dire, ma è stato suo figlio a uccidere la ragazza.
– Mio figlio? Ispettore, lei è pazzo, perché mi sta facendo questo, oddio mi sento male. Quello non sa nemmeno allacciarsi le scarpe. E poi perché avrebbe voluto farle del male, non la conosceva nemmeno, l’ha detto anche lei.
– Signora Bongiovanni, suo figlio ha confessato. Ci ha raccontato che stavate andando dal parroco perché lei voleva costringerlo a prendere i voti contro la sua volontà.
– Questo cosa c’entra, lei non può capire: mio figlio passa le giornate su quei siti, ispettore, ha capito che intendo? Volevo che diventasse prete, così magari avrebbe smesso e alla mia morte la Madre Chiesa, nella sua infinita misericordia, si sarebbe presa cura persino di un idiota come lui.
– Signora, suo figlio ha quasi trent’anni. Mi ha detto che ormai aveva superato ogni possibile limite di sopportazione. Così stamattina, prima di uscire di casa, ha preso lo stiletto che aveva comprato a un mercatino tanti anni fa, quando aveva cominciato a covare il desiderio di ucciderla. Ma neanche oggi riusciva a trovare la forza di farlo. Poi sull’autobus ha visto quella ragazza, che era così bella mentre ascoltava la musica, assorta nei suoi pensieri. Sembrava così libera. Gli è montato dentro un odio tale, tutto d’un colpo, che non ce l’ha fatta più ad aspettare. Ha tirato fuori lo stiletto e…
– E…?
– A quel punto c’è stata la frenata, e invece di uccidere lei ha tolto la vita proprio a quella ragazza. Una volta di nuovo in piedi si è reso conto di non avere più lo stiletto in mano e si è chinato per cercarlo. Era ancora a terra quando ha sentito il primo urlo. Si è voltato e l’ha vista.
– E dire che ho fatto tutto per lui, tutto. Ho sacrificato la mia vita. Pensi che non lo volevo nemmeno, è stato suo padre a insistere, voleva a tutti i costi un figlio maschio. Poi, quando è nato, sa che scherzo mi ha fatto? Se n’è andato, quel disgraziato. Morto di tumore, lasciandomi sola a occuparmi di ogni cosa. È proprio vero, tale padre tale figlio.
– Adesso può andare, signora Bongiovanni.
– Non capisco. Perché ha voluto raccontarmi tutto questo?
– Innanzitutto volevo appurare, osservando le sue reazioni, se lo avesse visto compiere il delitto e lo stesse proteggendo. Ma a questo punto lo escludo. Poi perché me lo ha chiesto suo figlio. Mi ha detto che avrebbe firmato la confessione questa sera stessa se le avessi raccontato tutto. Immaginare la sua faccia lo avrebbe reso immensamente felice, per non parlare di quando sarebbero venute a saperlo le sue amiche della parrocchia. E poi…
– E poi?
– Poi è scoppiato a ridere e non ha più smesso.
– Con permesso ispettore.
– Prego, Signora Bongiovanni.


Daniele Israelachvili (1978) comincia a scrivere i suoi primi racconti durante le lezioni di microeconomia all’università, ma non lo dice a nessuno perché ai suoi occhi è come se suonasse l’ukulele nudo. Ancora adesso, dopo la nascita dei suoi figli, due volte alla settimana si chiude in cantina a scrivere, dicendo a sua moglie che va a giocare a calcetto. Quest’anno altri suoi racconti sono apparsi o appariranno su ‘tina, Risme, Rivista Blam e Pastrengo.