Sara e Claudio non ricordano l’ultima volta che sono usciti di casa.
Ogni tanto si svegliano di colpo, prima lei e poi lui, controllano il colore del cielo e poi si infilano di nuovo sotto le coperte. Sentono freddo tutto il giorno, tutti i giorni.
Fuori non smette di piovere e di tirare vento. I rami si spezzano per le raffiche e vengono trascinati fino a perdersi. Fuori è sempre così.
Le pozzanghere sono dei laghi bui, le strade cunicoli scolpiti nel ghiaccio. Anche i cani randagi si nascondono. Quando la tempesta è iniziata, i telegiornali la descrivevano come una tormenta di passaggio, per una settimana al massimo. E invece, giorno dopo giorno, la vita è cambiata, agli annunci climatici sono susseguiti gli allarmi, le autorità consigliavano di restare dentro casa, di avere pazienza, e loro si sono aggrappati a quello che è rimasto, come naufragi appesi a un relitto in balia delle onde, si sono ostinati a galleggiare trascinati dalla corrente.
Superato il primo mese, sono cominciate le proteste. Erano sempre di più i gruppi a richiedere un intervento, prima del governo, poi delle associazioni, alla fine dei singoli individui. Dobbiamo fare qualcosa, ripetevano tutti, ma nessuno si era mosso. Sara passava le notti sui siti di informazione, sui forum, si confrontava con sconosciuti sulla difficoltà di quella situazione, sulla necessità di intervenire, sull’importanza di avere una scappatoia, almeno mentale. Claudio sentiva le dita battere sulla tastiera del portatile, le prime sere educate, pazienti, magari timide; poi, notte dopo notte, sono diventate sempre più audaci, decise, incisive. Sapeva quanto per lei fossero importanti quei momenti, per non sentirsi inutile, incapace di controllare la propria vita. Claudio la aspettava sotto le coperte, poi spegneva la luce e si addormentava, sicuro che Sara avrebbe risolto tutto, come sempre. Poi le comunicazioni si sono interrotte, i tralicci dell’elettricità sono crollati, la programmazione televisiva cancellata, i cavi della fibra ottica sbriciolati dal ghiaccio. Ognuno è rimasto solo, abbandonato a sé stesso, senza più nessuna notizia dal mondo e senza la possibilità di sapere cosa succedesse fuori di lì.

Sara e Claudio hanno creato una loro routine, come quella inculcata ai bambini per non farli piangere: si svegliano senza più alcuna fretta, mangiano qualcosa, riempiono la vasca da bagno con acqua bollente e si immergono senza chiudere il getto, ravvivano il fuoco, ingoiano ancora qualcosa di solido, tornano a letto e si avvolgono nel piumone. Non giocano mai, non ne hanno più voglia. Passano la maggior parte della giornata sotto le coperte. A volte Sara cerca il corpo di Claudio e schiaccia il viso contro il suo petto. Lui la avvolge con le braccia e le gambe, ma i muscoli intorpiditi si stancano troppo presto.
Restano in silenzio, quasi tutto il giorno. Poche parole, solo quelle necessarie. Ogni energia va risparmiata, ogni briciolo di forza tenuto da parte per il momento del bisogno.
Le scorte di cibo e di legna sono quasi consumate. Ogni tanto Sara apre la dispensa e conta i barattoli di fagioli, pensa di aprirne uno ma poi lascia stare. Non ha idea di quanto potrebbero durare ancora, ma la loro fame diminuisce pasto dopo pasto. Presto potrebbero sentirsi pieni con un solo fagiolo e allora quella scorta diventerebbe infinita. Durante i primi giorni hanno letto molto, ma ora la carta serve a tenere vivo il fuoco. Non avrebbero mai pensato di dover bruciare anche i libri. E invece, quando il momento è arrivato, è sembrato ovvio, inutile da discutere. Per primi hanno scelto i volumi scolastici, conservati solo per nostalgia: secoli di storia sono scomparsi sotto i loro occhi, i dipinti si sono squagliati, le grandi cattedrali ridotte in cenere. Poi sono passati ai romanzi, quelli scambiati nel corso degli anni e di cui avevano parlato tanto. Si sono seduti di fronte al camino, le ginocchia accostate. Sara ha aperto un libro e ha letto la prima pagina, l’ha strappata e passata a Claudio, l’ha letta anche lui, ad alta voce, con il suo timbro scuro e senza esitazioni, ha scandito con cura ogni parola, poi l’ha buttata nel fuoco. Sono andati avanti così, una pagina alla volta, fino all’ultima.
La notte è il momento peggiore. Quello che spaventa di più Claudio è il silenzio. Prima, il loro appartamento si affacciava di fronte uno dei locali più in voga della città. La musica riempiva le loro stanze senza curarsi delle persiane abbassate, tormentava la loro stanchezza. Ora, invece, l’unico suono a provenire da fuori è un lamento incessante, il verso di un animale straziato che ronza nelle orecchie e penetra sempre più in profondità, fa vibrare tutto il corpo.
Spesso non si vedono né il sole né la luna. Il manto delle nuvole è così fitto da apparire vivo, eterno, immobile come se fosse ancorato al cielo da radici secolari, o invece inquieto, simile a un vascello con le vele gonfie pronto ad affrontare l’infinito. Molte volte Claudio le ha guardate chiedendosi se sarebbe stato capace di sopportarle sulla schiena, senza cedere di schianto. Molte volte ha creduto che il suo compito sia solo resistere al macello, restare forte per sorreggere anche Sara e superare insieme quella tempesta infinita. Molte volte Claudio ha pianto da solo nascosto nel buio.
Ciondolano dentro casa, fissano le lancette dell’orologio in cucina e si chiedono per quale motivo scorrano ancora. Fino ad oggi, quando senza preavviso hanno smesso di ticchettare: Claudio e Sara si guardano per un istante, quando la lancetta manca il suo bersaglio, ma nessuno dei due si preoccupa di riparare il guasto.
Sara mette un pentolino di acqua sul fuoco, ingurgitano tè e caffè fumanti. Claudio getta due pezzi di legno nel camino e la fiamma divampa gialla e blu, entrambi tendono le mani verso il calore.
Una folata di vento più forte delle altre fa tremare le mura. Sara corre per controllare che il mondo non si stia sgretolando e finalmente, dopo troppi giorni, vede di nuovo il cielo. Solo per un secondo, ma basta a ricordarle che sta ancora lì: una gigantesca luce crepita in fondo verso l’orizzonte. Il suo riverbero è debole e sfuggente, ma entrambi continuano a tenere gli occhi incollati su quella luce che divampa. La vedono gonfiarsi e rimpicciolirsi, allargarsi di nuovo e poi cedere, consumarsi fino a tornare buio.
Non sanno cosa dire, non sanno cosa significhi, non sanno a chi appartenga. Restano immobili alla finestra e si tengono per mano, aspettando qualcuno che li venga a prendere e li porti lontano da lì. Per molti secondi non succede più nulla, allora le spalle di Sara si riposano e lei si avvia a letto. Prima che tutto diventi troppo nero, Claudio scorge una sagoma per strada. Sembra un uomo, ma il muso è nascosto da un grande cappuccio coperto da una folta pelliccia scura.
Cammina, a volte corre, ma struscia anche a terra e compie dei grandi salti per superare le pozzanghere. Trascina con sé un barile, forse uno di quei grandi contenitori di gasolio. Lo fa rotolare a terra e lo spinge con le braccia o con dei calci, ma quando incespica tra le distese di fango è costretto a sollevarlo sulla schiena e per poco non rimane schiacciato. Claudio lo segue fin quando lo sguardo glielo permette, fin quando l’uomo non sparisce in direzione della luce ormai morta. Non riesce a capire se sia reale, o se ormai i suoi sogni e le sue paure si siano fusi in un’allucinazione continua da cui non riesce a scappare. Non sa se sia sveglio o se stia ancora dormendo, non sa se sia ancora vivo o no. Vorrebbe parlarne con Sara, ma ha paura di come lei possa reagire, se l’idea di una vita fuori potrebbe farla impazzire per il tormento di doverla inseguire. Preferisce credere di aver scoperto un allucinato, intento solo a spingere la sua follia su una lastra ghiacciata pronta a frantumarsi. Si distende vicino a Sara, tira le coperte fin sopra la testa e stringe le mani intorno alla bocca, si riscalda con il suo fiato fino a chiudere gli occhi.
Quando li riapre, è solo a letto. Si alza di scatto cercando Sara e la trova con il viso schiacciato contro il vetro, proprio come lui la sera prima. Un essere avanza nella tormenta spingendo una poltrona di pelle verde, la struscia sulla strada creando dei grandi solchi nel ghiaccio, si ferma per riposare e poi riprende. Prosegue verso l’orizzonte, sempre nella stessa direzione, sempre verso la grande luce.
A Claudio basta guardarla un attimo, sfiorarla appena con lo sguardo, per provare paura. Prendere l’iniziativa ha sempre fatto parte di lei, è la sua prerogativa più distintiva. Anche in quella condizione, anche quando ogni segnale avvisa che la fine del gioco è arrivata, lei non prova nemmeno un attimo di esitazione. Sa sempre qual è la cosa giusta da fare, mentre Claudio vorrebbe solo chiudere gli occhi e aspettare. E ora, invece, conosce l’inutilità di ogni parola che potrebbe pronunciare, nulla potrebbe far tornare Sara sui suoi passi, nulla potrebbe convincerla a preferire la sicurezza offerta dal loro rifugio rispetto alla speranza irradiata da quell’abbaglio. Claudio non può fare altro che imitare i suoi gesti, seguirla anche dove non vorrebbe. Sara indossa due paia di calzamaglie, dei pantaloni da sci, un maglione di pile: è come se avesse immaginato quei gesti ogni notte da quando tutto è iniziato, sa con esattezza dove trovare ogni indumento, come se fossero stati posizionati in un cassetto apposito, proprio per questa evenienza. Claudio è indeciso, non sa quale sia il tessuto più adatto a una situazione del genere, non sa per quale motivo si stanno vestendo così in fretta, ma ha paura che Sara possa andare via senza di lui e allora infila il maglione, chiude la zip, stringe i lacci.
Prendono due grandi sacchi neri e ci infilano tutti gli oggetti con cui hanno riempito le loro stanze: coperte, quadri, vestiti. Tolgono i cassetti dagli armadi, smontano le mensole, strappano le tende e infilano tutto dentro i sacchi, li riempiono fino a quando riescono a sopportare. Claudio si carica il più grande sulle spalle, lascia il più leggero a Sara ma comunque lo trascina a fatica, facendolo sbattere su ogni gradino delle scale. Prima di aprire la porta si scambiano un ultimo sguardo e di nuovo nessuna parola. Un bacio, piccolo e senza suono, si stampa sulle loro labbra.
La prima cosa a colpirli è il freddo e il bianco accecante delle strade, il vento implacabile trascina con sé ululati di disperazione, impossibili da attribuire a un uomo o a una bestia. Per resistere al gelo camminano, è l’unica cosa di cui si sentono capaci, sempre dritto davanti a loro, senza sapere cosa aspettarsi. Superato un incrocio, si affacciano su un grande viale, il più importante della città. Claudio lo ha percorso una quantità incalcolabile di volte, sempre identico nel corso degli anni ma, per lui, ogni volta diverso. Ha contato i passi, ha scelto di calpestare solo le mattonelle nere invece di quelle bianche. Lo ha attraversato di corsa con gli amici senza badare alle macchine, o mano nella mano con le prime fidanzate, si è nascosto dietro le colonne dei portici per fumare le sigarette. Nella piazza ha giocate tra le zampe della statua del grande elefante e si è arrampicato sulle sue zanne. Da bambino, provando a raggiungere la groppa, si tagliò con un ferro arrugginito fuoriuscito dalla coda; la madre lo portò di corsa in ospedale e lui provò, per la prima volta, la sensazione di aver commesso un errore irreparabile. Una sottile linea pallida gli attraversa ancora il palmo della mano destra. In quei negozi ha rubato le merendine o scelto dei libri, ha indossato dei vestiti o comprato il pane.
Ora ogni serranda è abbassata, le vetrine coperte dalle assi di legno, le insegne rovinate. Mancano pochi metri alla piazza centrale e una fitta lo colpisce nel costato: Claudio lascia cadere il sacco a terra, poggia le mani sulle ginocchia e respira, spinge nei polmoni tutta l’aria circostante. Non vuole alzare lo sguardo e osservare il vuoto nella piazza, scoprire il ricordo devastato: l’elefante è stato sconfitto, un cumulo di frantumi di cemento rosso spicca nel bianco assoluto.

Una massa indistinta di schiene e nuche marcia davanti a loro, invade tutta la strada. Le figure si moltiplicano metro dopo metro, da ogni via laterale affluisce nuova folla. Si muovono tutti nello stesso modo, con la stessa fatica e gli stessi dolori, una processione senza nessuna litania. Nascosti dentro i giubbotti, con i cappelli calcati a forza sopra i passamontagna, avvolti nelle coperte, nessuno sarebbe in grado di riconoscere nemmeno il volto più familiare. Sara e Claudio osservano i corpi intorno a loro: chi li precede di pochi passi potrebbe essere un vecchio compagno di scuola, chi urla potrebbe essere un collega fidato, chi cade potrebbe essere loro padre. In quel momento, pensano la stessa cosa: ricordano i parenti di cui non hanno più nessuna notizia, gli amici scomparsi poco alla volta e quelli incapaci di resistere, tutti i volti e i sorrisi e le parole, come se nessuno fosse mai esistito. Solo allora, Sara e Claudio prendono coscienza per la prima volta di non avere più nessun altro al mondo. La tenerezza con cui si convincevano di essere fortunati a stare insieme, con cui si sono cullati rinchiusi nella loro casa, immersi nell’acqua bollente con i corpi intrecciati, si trasforma nell’assolutezza di essere, l’una per l’altro, l’ultimo appiglio contro la paura di restare soli per sempre. Si cercano le mani e le stringono forte. Devono solo andare avanti.
Alcuni proseguono in piccoli gruppi, ma la maggior parte viaggia sola. Tutti portano qualcosa. Chi l’anta di un armadio, chi fa rotolare uno pneumatico, alcuni reggono sulle spalle gli stessi sacchi neri di Sara e Claudio. Si dirigono verso l’orizzonte, verso quella grande luce che ha ripreso a brillare. Nessuno parla, ogni tanto qualche bambino piange, ma viene subito zittito. Dalla bocca escono vermi di vapore, alcuni digrignano i denti in un suono infernale, altri cadono in ginocchio stremati e urlano verso il cielo, gli intestini sono grovigli di filo spinato, chiunque di loro potrebbe sbranare chi ha vicino pur di tirare avanti. Sara vorrebbe poggiare il suo sacco a terra e sedersi per un secondo, riposarsi per poi riprendere il cammino, ma Claudio la sostiene, la spinge, la sgrida pur di non farla cedere. Ormai manca poco. Un passo dopo l’altro, si tengono ancora per mano. Non c’è tempo per guardarsi indietro, non c’è più nulla da recuperare.

La luce si fa sempre più forte. Quando superano gli ultimi edifici, quando più niente interferisce con il loro sguardo, finalmente lo vedono e ogni loro sensazione svanisce. Una fiamma, unica e immensa, un fascio di luce accecante, divampa dal terreno in un ruggito spaventoso: è alta più degli alberi, più dei palazzi, forse più delle montagne, e sembra poter crescere ancora, fino a toccare il cielo. Sara non ha mai visto un fuoco più grande, per un momento ha paura che il mondo stesso non sia capace di contenerlo. Poi, senza nessuno sforzo, ogni sua esitazione si scioglie.
Da ogni lato, persone di qualsiasi età lanciano oggetti e mobili nel fuoco, qualsiasi cosa possa bruciare e alimentarlo. Altre fanno rotolare grandi barili di benzina e li lasciano scivolare all’interno. Claudio e Sara si accostano agli altri uomini e alle altre donne, si sfilano il cappuccio e concedono ai loro visi di arroventarsi. Aprono i loro sacchi e, come tutti gli altri, permettono al fuoco di impossessi anche delle loro cose. Il crepitio è incessante, ancora più forte del vento che li assillava fino a poco fa, sembra interminabile e inesauribile. È il crepitio del mondo stesso, del terreno, delle rocce e del tronco degli alberi, di tutte le ossa delle persone che lo hanno calpestato, che in quel tremare fino a infrangersi si incontrano e si appartengono di nuovo.
Sara tende le mani verso le fiamme e sente il sangue circolare furioso, in preda a un’eccitazione di cui non aveva più nessun ricordo. Vorrebbe immergersi in quel grande mare rosso, galleggiare sulle sue onde e lasciarsi trasportare dalla corrente, senza mai chiedersi dove sia la riva. In breve tempo, i loro corpi si ammorbidiscono, smettono di essere rigidi e contratti e si liberano, tornano a essere come erano una volta. Quando le braccia di Claudio la circondano, Sara poggia la testa sulle sue spalle e in quel momento capisce di poter restare lì in eterno, con la terra che si scioglie sotto i suoi piedi, può smettere di impegnarsi per sopravvivere e restare in quel punto esatto e in quella stessa posizione per sempre, e quando lo ripete ad alta voce anche a lui, per sempre, non prova alcuna paura.


Angelo Cavaliere nasce a Pescara nel 1987. Dopo la laurea in Arti e Scienze dello spettacolo, si diploma in Sceneggiatura per il cinema e per il teatro all’Accademia drammatica Silvio d’Amico. Lavora come editor e autore, sia per il cinema sia per l’editoria, oltre che come insegnante di sceneggiatura e di scrittura creativa. Nel 2017 vince la Targa Siae Idea d’Autore del concorso Bixio per serie televisive. Nello stesso anno e nel 2019 è finalista del concorso Pitch in the day con due soggetti di lungometraggi. Due racconti sono stati inseriti negli ebook Lunedì 9 e Mi sentite?, realizzati dall’associazione Cattedrale – Osservatorio del racconto, in collaborazione con Scuola del libro, rispettivamente nel 2019 e nel 2020.