C’è questa ragazza che lavora all’autogrill in cui mi fermo sempre. Si chiama Wendy. Ha le lebbra carnose coperte da un rossetto rosso e quando sorride i denti sembrano lucidi come il burro. Immagino il mio cazzo avvolto da quelle labbra. Con Wendy non parlo ma Wendy sorride e lo fa solo con me. Penso alle mie mani sulle sue cosce, sempre avvolte dalla stoffa del grembiule.
Questi viali scuri non cambiano mai, i pioppi costeggiano la strada per chilometri tanto che i fanali del camion si allungano fino a scomparire. Solo la faccia della luna cambia. Mi ci posso quasi specchiare e vedere ‘sti occhi, ‘sti occhi blu che non sono serviti a niente. Di solito la bellezza è un lasciapassare ma non per quelli come me, che nascono e muoiono dentro un camion. Quando sono nato mia madre non ha fatto in tempo ad andare in ospedale e il mio culo è scivolato sul sedile del camion del nostro vicino di campo. Il mio culo non si è mai spostato dal sedile di un camion. Quando dici la sorte, il destino
Ah… Wendy… ti prenderò un giorno cara Wendy, un giorno sarai mia e questa gentaglia vedrà che non sono solo un camionista sciatto e lurido. Sono un uomo. Con. Dei. Principi. Sì. Sono un uomo vero, so conquistare una donna, so farla mia.

… Puntini neri e bianchi, puntini neri e bianchi… [sono fottuto] Il collo è slegato dal corpo, è un’anguilla in una vasca da bagno. Devo pensare. [lurido vecchio imbroglione] La testa mi scoppia. Sono le due. Devo riposare. [ninna nanna ninna ninna] Stringo la fronte fra le mani. La faccia del camion è ferma vicino al ciglio delle strada. Ho investito qualcuno. Non c’è nessuno. [hey baby, il dolore che passa su di te illumina me]
Le costole sembrano ritornate a posto. [il serpente d’argento sputa fuoco dalle orecchie] Se ho preso un vecchio non posso lasciarlo lì per terra. Tutto sommato potrei. [i serpenti non hanno le orecchie] Alle due di notte un vecchio che cammina per queste strade di merda. È chi, allora? Un pazzo. Una puttana. Scendo. Il parafango è imbrattato di una sostanza secca, appiccicosa, rossa e nera. Seguo la scia. [la luce, la luce… segui la luce]
È un cervo. Ho decapitato un cervo e la sua testa è volata dall’altra parte della strada. Si sente il rumore dei fili che passano attraverso i pali. I lampioni buttano nel cielo la luce.
Mi avvicino alla testa. Il palco con le corna. Giro attorno al capo decapitato, gli occhi spalancati, le orbite due uova a tegame. Il collo… vene pulsanti. Mi avvicino, sono faccia a faccia con lui. Allungo una mano tremante e accarezzo il capo della bestia. 

Manca mezz’ora alla prossima sosta, poi albeggerà. Wendy, Wendy… che bella che sei e che bella sorpresa ti ho preparato. Metto la radio al massimo del volume, sorrido. 
Le luci all’interno dell’autogrill sono sempre gialle. Ma qui c’è Wendy che con il suo sorriso rende questa feccia un locale a quattro stelle. La guardo, dietro il bancone, sta servendo i soliti due ubriaconi.
L’autogrill è un posto squallido. Mia madre diceva così. Lei, che mi ha fatto vivere in un camion finché non ha tirato le cuoia. Però aveva ragione, io lo squallore lo conosco, è di questo che sono fatto. Guardo il giaccone lurido che mi segue da tutta la notte. Wendy… lei… è di un’altra pasta. Wendy è brillante e sa che solo io vedo dentro di lei. Ecco perché mi sorride. Ecco perché mi ama.
Dei fari illuminano le vetrine opache. Due uomini manichini entrano, hanno l’aria stanca. Mai vista gente così in questo posto ma loro si guardano attorno come se ci fossero nati.
I passi risuonano sul parquet perché la sottile musica in sottofondo non li copre abbastanza. Si avvicinano al bancone, dal lato opposto al mio. Non ho ancora ordinato e Wendy, che sta per chiedermi qualcosa, si allontana. Non sorride, va verso di loro. La guardo e vedo quello che sente. Lo vedo che lei sa. Sa che sono diversiIl loro modo di vestire è diverso. Il loro modo di parlare, di tenere in mano il bicchiere. Diverso è il loro destinoE Wendy, che non ha mai sorriso a nessuno, Wendy dietro quel bancone che la fa sembrare ancora più piccola di quello che è, Wendy ha fiutato l’odore della possibilità, l’ha riconosciuto. Di fronte alla sua frangetta tagliata male, alle sue unghie consumate dal detersivo, Wendy, a quell’odore ha sorriso.
Mi alzo, la raggiungo e la afferro per un polso. I due in smoking accennano un sorriso. Wendy mi guarda come se ci conoscessimo da sempre. La trascino verso l’uscita. Lei prova a dire qualcosa, forse grida ma io non la sento. Apro il portellone del camion e la metto sul sedile, accanto alla testa del cervo. Wendy grida e le sue urla rimbombano, mi riportano un dolore lontano. Salgo e mi metto alla guida, accendo il motore mentre Wendy si dimena, con una mano le tengo stretti i polsi. La testa del cervo scivola nella zona tra i due sedili, il sangue imbratta la divisa bianca di Wendy. È tutto così bello. Accelero e mi accorgo troppo tardi di avere i fari spenti; quando li accendo un albero è dritto di fronte a noi. Accelero ancora. Wendy piange, si dimena e solo il boato dello scontro riesce a farla smettere. Solo quello e il buio della notte, che ci avvolge. Ci avrei scommesso Wendy, sapevo che un giorno saresti stata per sempre mia.


Claudia Villani vive a Roma dove, dopo la laurea in lettere moderne, consegue un diploma in drammaturgia e un master in sceneggiatura. Nell 2011 partecipa alle finali regionali del MarteLive. Nel 2015, a Parigi, mette in scena un monologo teatrale, uno studio sul tema del coma. Del 2020 è la pubblicazione di un romanzo per ragazzi a cura della casa editrice Les Flauners. Per il cinema ha scritto Different Century Same Shit (Filmdea), con il quale ha vinto al New York International Film Awards e all’Hollywood Women’s International Film Festival il premio nella categoria miglior film di giustizia sociale. Cerca di scrivere ricordandosi di Lars von Trier, di Lynch e delle poesie di Borges.