Prima l’aveva rapinata e poi era tornato sui suoi passi. Se n’era pentito già mentre strattonava la borsetta, mentre lei con tutte le sue forze tirava la cinghia e sbraitava, lui, ancora sul motorino, con il casco dalla visiera oscurata, indugiava in una lotta impari solo per poterla osservare meglio. Poi aveva dato gas all’acceleratore e si era impennato sulla ruota posteriore sciogliendosi definitivamente dall’intreccio. L’aveva lasciata a terra a gridare al ladro! e continuava a scrutarla nello specchietto incrinato e foderato col nastro da pacchi.
Non era la prima volta che scippava una puttana, ma stavolta era diverso: era scoccato il colpo di fulmine.
I giorni seguenti era tornato sul luogo del delitto a spiare la sua vittima per constatare e confermare le sue impressioni ipoteticamente affrettate. Non si era sbagliato, anche se adesso il bel viso della ragazza era sporcato da brutti segni che il trucco non riusciva a coprire. Sapeva di essere il diretto responsabile di quell’infame pestaggio, ma non poteva certo presentarsi al magnaccia e fargli una lezione di codice d’onore.
Era andato più volte sul viale alberato, a tutte le ore del giorno. Aveva imparato i turni e gli orari, le abitudini e le facce dei papponi. Stava alla larga perché aveva paura d’essere riconosciuto, anche se la notte della rapina erano soli, indossava il casco ed era su un motorino rubato di cui si era prontamente liberato. Eppure il suo perenne senso di colpa lo costringeva ai margini di quel viale, a spiarne le luci e gli abitanti, senza azzardare un ingresso ufficiale.
All’inizio non sapeva che cosa avrebbe fatto della refurtiva, per il momento era nel suo nascondiglio assieme a tutto il resto, si era preso del tempo per valutare la situazione, ma il tempo lo esauriva a pedinare la ragazza, a osservarla di giorno e di notte, pure nei sogni. Era diventata un’ossessione. La desiderava moltissimo e l’idea di poterla possedere in cambio di qualche decina d’euro lo incitava a soddisfare subito le sue urgenze, ma non voleva esser un cliente qualsiasi, non voleva sporcare un sentimento puro. Alla fine la passione aveva finito per insozzare quel miraggio che qualcuno chiama amore platonico e, dopo aver dato una sgrumata al suo arnese e alla gabbia degli scimpanzé, s’era affrettato a guadagnare la strada della soddisfazione carnale. Quello era stato il loro primo vero incontro, il secondo soltanto per uno scherzo del destino, si ripeteva Riza, provando a cancellare l’intera faccenda dalla memoria. La vita lontana da Mirka sembra insostenibile. Se ne sta tutto il giorno a letto. Finiti i turni di smontaggio del tendone, si rintana alla svelta per non dover dare spiegazioni ai curiosi. Ma qualche volta vengono a bussargli direttamente alla porta.
«Apri Riza! Oh sveglia, ci sono novità!»

«Leggi qua: IL CIRCO. Le indagini sono arrivate nei giorni scorsi fino al Circo. I militari hanno prelevato DNA e impronte digitali a tutti e cinquanta gli artisti del Circo Italiano, come confermato dal responsabile del circo: “Nessuno di noi è sospetta- to per quell’atroce delitto, i carabinieri sono venuti per un semplice controllo, perché le indagini si estendono a tutto il territorio limitrofo al luogo dell’assassinio”.»
«Guarda, anche qua siamo in prima pagina! ERAVAMO TUTTI IN SCENA. Il circo era presente nella località balneare nei giorni in cui si è consumato il duplice omicidio. La mattina del 28, a ridosso dell’omicidio, è partita per Venezia la prima parte della carovana, con cinque mezzi e una quindicina di persone. “I carabinieri sono venuti per un controllo il 30, hanno chiesto i documenti nostri e dei veicoli, ma mancano quelli degli altri artisti che erano già partiti. Così torneranno martedì per completare le verifiche. Comunque al momento dell’assassinio eravamo tutti in scena”.»
«Sono le parole di Giuseppe, gli hanno pure fatto la foto, guarda… te ne stai sempre chiuso qua dentro, ti sei perso l’intervista. C’erano un sacco di giornalisti, c’hanno fatto pure il test, come se chiama Gaeta’?»
«Il test del DNA.»
«Oh, con quello scoprono tutto quello che vogliono, ti rovesciano come un calzino. Credono che l’assassino si nasconda qua. Hanno fatto indagini in tutte le zone vicine al massacro.»
Riza è rimasto incollato al quotidiano. ERAVAMO TUTTI IN SCENA ERAVAMO TUTTI IN SCENA ERAVAMO TUTTI IN SCENA ERAVAMO TUTTI… ma sa benissimo che non è vero.
«Che giorno è oggi?» chiede Riza con un filo di voce.
«Lunedì!»
«Domani Riza, tornano domani…»
Riza prende i giornali, se li arrotola sotto un braccio, poi fila via lungo il corridoio laterale che divide i caravan dalle gabbie degli animali già pronte per la partenza.
Il Geco cammina veloce, i richiami degli altri lo sfiorano appena e non riescono a fermarlo, è già caduto nei suoi pensieri, nel ricordo di lei. Sa che non potrà più rivederla perché se lo facesse, se venisse fuori che quella notte erano assieme, che il ladro è anche l’amante, che lei s’è presa i soldi del magnaccia, non esiterebbero a farle ancora del male e per lui sarebbe la fine… allora si mette a correre per scacciare via la sua ombra.
Ha sentito parlare del DNA solo nei polizieschi televisivi e per quanto ne sa è un test scientifico che smaschera qualsiasi brutta intenzione e sbatte in galera anche i più scaltri serial killer.

È notte e il Geco si arrampica sul camion dove tiene nascosto il tesoro di una vita, sale su come se avesse delle ventose al posto delle mani e una volta sulla sommità, scassina il lucernario e si cala nel buio a cercare il nascondiglio, estrae il sacchetto di tela cerata nel più completo silenzio e si avventura di corsa nella periferia suburbana dove ha già trascorso tutto il pomeriggio da solo in preda a panico e a visioni future.
Nelle ore solitarie ha riflettuto a lungo sulla sua scomoda posizione e ha capito che innanzi tutto deve sbarazzarsi della refurtiva, cancellare ogni prova, e, tessera dopo tessera, far sparire tutto il suo passato. Ma il circo è la sua vita e valuta l’eventualità di restarci agganciato in qualche acrobatico modo, in ogni caso adesso deve stare alla larga dalle indagini.
Il Geco è sceso giù fin quasi nel letto del fiume per essere sicuro che tutto venga trascinato via. Il cellulare vibra. Riza lo tiene acceso solo per l’orologio, ascoltare musica e fare qualche foto, il microfono è guasto, non chiama mai nessuno e la rubrica è un deserto. Decide di sbarazzarsi anche dell’inutile apparecchio che si porta appresso nel vano miraggio di appartenere a una comunità. Proprio mentre si prepara al lancio la foto di Gaetano lampeggia a intermittenza, allora si ricorda dell’amico, della famiglia a cui sta voltando le spalle senza nemmeno dare l’addio. Il telefono fa uno splash e viene avidamente inghiottito dalla corrente. Ogni contatto è spento. Come il dorso di un coccodrillo che scompare sott’acqua, pacchetto dopo pacchetto, il suo tesoro sprofonda per sempre nel fiume nero.

© Luca Brunetti

Riza si è accampato sugli argini del canale di scolo, e non si sente molto diverso dai suoi nuovi coinquilini: topi di fogna, lucertole e scarafaggi. Non fa che comprare quotidiani di zona e setacciarli foto per foto, lettera per lettera per scovare un indizio, una svolta nelle indagini, ma il caso è scivolato in decima pagina e dell’assassino nessuno parla più. “Se solo arrestassero il colpevole”, pensa Riza, “potrei tornarmene al circo”, momentaneamente bloccato per i tempi tecnici delle indagini scientifiche. Capita spesso al piazzale del tendone, si aggira come un fantasma tra gli imballi e i rimorchi pronti per la partenza, salta da un caravan all’altro, scivola a prendere qualcosa da mangiare nella sua roulotte e fila via senza lasciare impronte. Si è fissato che quel dannato test del DNA possa rovinargli la vita portando alla luce tutte le anomalie che vivono in lui, ricostruendo in un matematico e persino esoterico ordine sequenziale tutti i suoi piccoli reati. Teme l’ergastolo, una vita lontana dal circo, dagli avanzi della sua famiglia.
E se nel test del DNA ci fossero degli errori? Se si potesse confondere il profilo di una persona con quello di un’altra? Riza ha il cuore in gola, non fa che torturarsi, rischia d’essere schiacciato dal peso della sua paura. E se fosse stato lui ma avesse rimosso tutto quanto in preda al raptus? Se fosse così pazzo da esserselo dimenticato, se stesse vivendo una doppia realtà, e Mirka fosse soltanto una delle sue strambe visioni? Adesso vede la scena dei corpi sgozzati, il sangue ovunque, prova a inserirsi in quello sfondo fotografico, a sentire l’odore della morte, ma non si accende nulla nel suo cervello e la prospettiva è sempre quella dei fotografi della cronaca. Solo immagini stampate che si confondono nella memoria allentando i cardini della verità.

Lo caricano sulla volante con le manette ai polsi. Ancora foto, questa volta dal vivo, con tanto di flash accecanti, proprio come nei telegiornali, solo che stavolta il Geco è dentro alla TV, ma non abbassa il capo per nascondersi, anzi si guarda attorno curioso e accenna qualche timido sorriso ai giornalisti coi microfoni dispiegati. Durante il viaggio è un po’ stordito, la rocambolesca fuga e la cattura hanno esaurito quel poco d’energia che era sopravvissuta nei giorni d’eremitaggio palustre. Cerca qualcosa che lo faccia stare meglio, un ricordo positivo con cui scacciare il presente, ripensa all’incontro col Siciliano, qualche sera fa, mentre si aggirava bramoso di calore tra le pareti mobili della sua casa ambulante.
«Curri quantu vuva ca sempri cà t’aspittu.»
«Gaeta’…» Riza si era quasi messo a piangere, aveva arrestato la sua corsa e si era avvicinato all’amico, ma con esitazione, indeciso se spiccare un salto e sparire nel nulla o concedersi una tregua consolante.
«Ch fai? ch istai cumminannu?»
«Io? Nulla. Non ho fatto nulla, mi conosci, lo sai…»
«E allora picchì fuggi?»
«Gaeta’, io quel test non lo voglio fare.»
«Falla comu voi, ma tutti o’ faciemu, e poi eri co ‘a picciotta, a’ bottana…»
«Zitto! non la devi nominare, ti ho detto zitto, shhh…»
«Chiddi ti stanno a cerca’…»
«Io non ci vado dalla polizia.»
«A lu tò amicu veru parraci chiaru. Hai paura? Picchì?»
Riza l’aveva stretto forte a sé in un abbraccio muto e tremolante, poi, senza rispondere, si era dato alla fuga. La sua figura magra e nervosa era stata inghiottita dalla notte, salto dopo salto. Inutile corrergli dietro.
Il giorno dopo era stato sorpreso in un’imboscata proprio alle porte del circo.
Adesso Riza scorre tutto come in una moviola senza volume, tante scene da film che si susseguono fino al finale a sorpresa con arresto a sirene spiegate. E tutto perché si è rifiutato di fare un test.

Riza legge il quotidiano ancora caldo di stampa. Gliel’hanno appena consegnato assieme alla colazione. Si parla ancora di lui in prima pagina, ma Riza non capisce perché lo tengano ancora dentro. Finché leggeva titoli come: PRESO IL MOSTRO, O IL KILLER VIENE DAL CIRCO, d’accordo, se n’era fatta una ragione, l’avevano per così dire incastrato, tanto che la sua paura si era placata, o meglio, adagiata nella sua nuova condizione di prigioniero e la sua colpa invisibile aveva perso vigore e lo sollevava da ogni incombenza, lasciandolo in un’oasi di torpore e stordimento quasi piacevole, dopo il turbinio degli eventi che l’avevano così profondamente sconvolto. Ma oggi quel titolo resta un punto interrogativo, Riza continua a rileggere meccanicamente quei caratteri oscuri cercando un’illuminazione che però nessuno vuole accendere.
L’ASSASSINO NON ESISTE! MISTERO NEL MISTERO: PROSCIOLTO L’INDIZIATO NUMERO UNO, MA ANCORA GIALLO ATTORNO AL RAGAZZO TURCO, se di nazionalità turca si può davvero parlare: mentre da una parte quello che tutti ormai davano per il colpevole del terribile massacro di Bellaria Igea Marina è stato prosciolto, dall’altra si aprono inquietanti misteri riguardo all’identità stessa dell’accusato. Il campione di DNA analizzato non corrisponde a quello prelevato dal Ris di Parma sulla scena del delitto e quindi crolla l’ipotesi di un coinvolgimento diretto del giovane. Il ragazzo, catturato due giorni fa, e ancora agli arresti presso la Questura di Rimini, continua a non fare alcuna dichiarazione. Non ha mai fornito un alibi per la serata dell’omicidio, ma a questo punto, ha dichiarato il Giudice delle indagini preliminari: è considerato estraneo ai fatti. Da oggi partono nuove indagini al Circo Italiano, sul responsabile pendono le denunce più gravi tra le quali: sfruttamento del lavoro clandestino, falsificazione di documenti, favoreggiamento dell’ingresso clandestino degli stranieri e altro ancora…

Al momento dell’arresto il Geco aveva esibito il passaporto scaduto, ma il vicequestore aveva subito capito che si trattava di un documento falso o trafugato ed era scattato il fermo per l’identificazione, nell’attesa dei risultati genetici. Una volta prosciolto dall’accusa, Riza era stato dirottato presso gli uffici d’immigrazione della Polizia di Stato, dove si trova ancora in attesa di una futura collocazione giuridica.
Col test genetico si è chiuso un mistero, ma se n’è aperto un altro di difficile e non rapida soluzione: chi è Kadir Sahin? Nessuno lo sa. Per l’Anagrafe non esiste. In nessun terminale delle forze dell’ordine questo nome trova una collocazione, solo nei registri dei decessi il nome in questione apre una via, ma è una pista cieca. Infatti Kadir Sahin risulta deceduto il 7 ottobre del 1997, più di 15 anni fa.
Riza non esiste, il Geco neppure, sembra solo un personaggio dei fumetti. I compagni del circo restano vaghi, l’hanno visto crescere ma nessuno si è mai chiesto chi fosse davvero, era uno di loro, uno da difendere senza farsi troppe domande, ma da quando si è sparso il sospetto che fosse un assassino nessuno se la sente più di proteggerlo. Solo il Siciliano è venuto a trovarlo, ha fornito una spiegazione che più che scagionare Riza e la comunità circense denuncia una serie di reati gravi: una nascita mai dichiarata, un abbandono di minore, l’omertà della comunità, l’occultamento d’identità, il sequestro e lo sfruttamento di un minore, l’ingresso clandestino di stranieri… e la lista continua.
Per la prima volta in vita sua il Geco si sente un orfano, il figlio di nessuno. La comunità che l’aveva accolto e cresciuto, rimpiazzando i veri genitori e trasformandolo nel figlio di tutti, si è dissolta per causa sua.
Sapeva che il test del DNA l’avrebbe rovinato, ma non pensava che la frana avrebbe trascinato con sé l’intero circo.
Senza il circo il Geco non esiste, ha perso le coordinate della sua vita, ha perso l’equilibrio, non farà mai più il trapezista.


Valentina Ramacciotti è nata a Lucca nel 1972. Vive in Versilia, dove lavora come fotografa freelance e insegnante alle scuole superiori. Nell’ottobre del 2018 è uscito il suo primo romanzo, Piovono ragni (Eretica edizioni). Ha pubblicato racconti sulle riviste Spore e Narrandom. Il suo racconto Har Mĕgiddō è stato selezionato tra i finalisti alla settima edizione del Premio Hypnos.